Il 22 marzo, il programma della RAI, Report si è occupata degli smart speaker di Google e di Amazon con un servizio di Cecilia Andrea Bacci.
Sapevo di questo servizio perché la giornalista, in seguito alla citazione su Avvenire, ha trovato il blog e mi ha contattato per parlare, insieme, delle opportunità di questa tecnologia. Purtroppo vivendo nella provincia più lontana e più profonda d’Italia non è stato possibile incontrarsi.
Sono consapevole, inoltre, che probabilmente, nel breve tempo concesso di un intervento televisivo, non avrei aggiunto nulla di nuovo all’intero servizio. Dato anche il taglio su cui non mi trova del tutto d’accordo.
Senti chi parla di Report
Il mio intervento al WIAD 2018 aveva come titolo Senti chi parla.
Report così introduce e sintetizza il servizio.
Entro la fine dell’anno potrebbero essere 260 milioni in tutto il mondo: sono gli smart speaker, agglomerati di microfoni e altoparlanti animati da intelligenza artificiale. Smuovono un mercato da sette miliardi di dollari l’anno e sono in continua crescita. Fanno capolino nell’intimità delle nostre case, nelle nostre auto. Ma rispettano la nostra privacy? Per interagire con loro basta pronunciare la parola chiave e formulare una richiesta. Ma che fine fa la nostra voce? Come e per quali fini vengono conservati i dati che le aziende raccolgono sul nostro conto?
La mia osservazione a caldo
Ho affidato la mia reazione a caldo ai social, come è di moda.
Poi, Luisa Di Martino mi ha chiesto un’osservazione a riguardo. Ed eccomi qua.
Uniscili?
Non voglio adottare un atteggiamento benaltrista. Ossia non voglio eludere un problema sostenendo che ce ne siano altri, più importanti, da affrontare. No. Assolutamente no. Anzi.
Proprio il binomio smart speaker / assistenza vocale, invasività / privacy mi pare che eluda altri problemi, come, per esempio, il livello basico, ad oggi, di questi dispositivi, almeno per quello che fanno; o ancora le opportunità di questa tecnologia.
Si unisce, per esempio, l’assistenza vocale, la tecnologia, con lo smartspeaker, il dispositivo. Quest’ultimo porta l’assistenza vocale all’interno della casa, mentre l’assistenza vocale si trova già anche in altri dispositivi.
Il tema è complesso. Sono 4 anni che mi occupo di assistenza vocale e ogni settimana mi rendo conto che manca una sfumatura a quanto già detto.
La notiziabilità
Ma andiamo con ordine.
Perché quando si parla di assistenza vocale si finisce sempre a parlare di Privacy? Perché anche se vengono elencati i vantaggi alla fine ci deve essere sempre un “ma” o un “però” che nega i vantaggi precedenti?
Credo abbia a che fare con il concetto di notiziabilità.
Evidentemente, i problemi della privacy sono molto più notiziabili degli studi relativi alla relazione uomo macchina.
La privacy
I giornali e relativi giornalisti, infatti, non parlano quasi mai degli assistenti vocali in se. Ma legano l’assistenza vocale ai problemi di privacy.
Come se la privacy fosse un problema che riguardasse solo gli assistenti vocali. E non riguardasse, invece, tutto il mondo digitale. Come se, ad oggi, in casa, non ci fossero dispositivi digitali e comparisse per la prima volta nella storia un PC con webcam in casa.
Gli assistenti vocali invadono la nostra privacy? E’ un dubbio. Un dubbio legittimo. Ma è pure vero che è un dubbio fortemente alimentato dai giornali. Pur non avendo evidenze tecniche a riguardo. Almeno non di più di altri dispositivi connessi.
Le nostre case sono già invisibili. E le nostre vite già pubbliche.
Vi stanno fregando?
Sigfrido Ranucci non usa mezzi termini. Quando azionate un assistente vocale, vi capisca o meno, in quel preciso momento…
Vi stanno fregando. Perché vi stanno studiando. E vengono registrate le nostre voci, le nostre informazioni, e messe in un server. Non si sa dove e a disposizione di chi.
Cosa che si può dire di ogni preciso momento in cui prendiamo uno smartphone e schiacciamo un pulsante, facciamo una chiamata o inviamo un messaggio.
Inoltre, forse, non sappiamo e non vogliamo sapere a chi diamo i nostri dati se scarichiamo ed usiamo l’ultima app meteo. Ma se usiamo Amazon Echo i dati vengono inviati ad Amazon, se usiamo un Google Home i server saranno quelli di Alphabet Google. Alla prima affidiamo le nostre carte di credito, per i nostri sempre più numerosi acquisti; alla seconda affidiamo tutte le nostre ricerche e dubbi.
Apple Homepod
In questo contesto, Apple ha gioco facile con il suo slogan.
Quello che accade sul tuo iPhone resta sul tuo iPhone
Forse detto, anche, da chi possiede un iPhone. Peccato che lo slogan appaia come il racconto della volpe che non riesce ad arrivare all’uva.
Apple, appunto, pur essendo stata l’azienda più innovativa in fatto di assistenza vocale, la prima a lanciare l’assistente vocale Siri, oggi è rimasta in dietro.
Apple, in questo momento, si trova all’inseguimento dei concorrenti. E pur avendo costruito il proprio smart speaker Apple Homepod non ha trovato uno spazio di mercato che la facesse primeggiare.
L’assistente vocale ti sente ma non ti ascolta
E’ vero. Lo smart speaker ti sente ma non ti ascolta. Perché è necessario che si attivi quando la persona dice la parola di attivazione. Diciamo che è in continuo standby.
Per ascolto, invece, in questo caso, intendiamo l’invio della voce al cloud.
Come detto nel servizio, in futuro lo smart speaker dovrebbe anche riconoscere le voci con il riconoscimento biometrico. Lo fanno già alcune banche. Non è impossibile.
Assistenza vocale e pubblicità
Siamo nel mondo della sperimentazione e tutto è sperimentale. Ogni conversazione, ogni comando è un esperimento. Riesce sempre? No. Per cui dobbiamo stare a guardare con attenzione.
I colossi della tecnologia hanno investito tanto ed hanno voluto lanciare gli smartspeaker per recuperare subito un po’ di quanto investito. Ma anche per iniziare ad istruire linguisticamente l’assistenza vocale è necessario lanciarlo con poca istruzione. Infatti, migliora con l’esercizio.
Sicuro è che c’è ancora molta strada da fare. E siamo solo all’inizio.
Interazione uomo macchina
Il pezzo, a mio parere, più interessante di tutto il servizio è l’intervista al professore Paolo Gallina dell’Università di Trieste.
Questo è un tema che ritengo importante. Addirittura centrale.
La percezione dell’oggetto, la relazione che instauriamo con l’oggetto. Il lavoro di empatia in cui sono impegnati i costruttori e i progettisti.
Tutte le reazioni psicologiche che l’essere umano ha nei confronti della macchina. E nello specifico della macchina parlante.
L’etica di un assistente vocale
Non certo trascurabile poi l’Etica degli assistenti vocali di cui ho parlato molto anche sul blog.
Anche qui ci sarebbe da parlare per ore e scrivere libri sul tema.
GDPR
Peccato che, invece, si torni nuovamente a parlare di Privacy e di come, la periferia del mondo di oggi, l’Europa, si stia occupando degli assistenti vocali e delle tecnologie digitali in generale.
Il GDPR a cui fa riferimento il segretario generale per l’autority della privacy, senza nominarlo, stabilisce che l’utente deve essere informato. E solo in mancanza di questa informazione si incorre in sanzioni.
Dunque una legge pericolosa per chi magari dimentica di farti flaggare un box, ma che non risolve affatto il problema.
La domotica
Altro capitolo è la domotica. Anche qui, ci sarebbe da fare altre puntate a riguardo.
Interessante l’esperienza dell’olandese che costruisce uno strumento per assordare lo smart speaker.
Il paradosso è che il maker olandese può creare con tale facilità e con strumenti a basso costo il suo dispositivo salva-privacy, proprio grazie alla tecnologia che sta dietro all’assistenza vocale che combatte.
Consapevolezza
Ormai lo ripeto in ogni dove. E forse diventerò davvero noioso. Ma quello che ho sempre detto è di avere consapevolezza.
Lo sottolinea anche lo sviluppatore del servizio, Karmann.
L’importante è che decida tu cosa farne della tua Privacy.
Avendo consapevolezza i pericoli e i rischi diminuiscono. E con questo blog, chissà, magari, qualche lettore sarà più attento.
Il finale
Il finale riassuntivo continua ad instillare dubbi. Ma ormai sarà chiaro a tutti. Le ricerche di spionaggio sanitario, lo studio del DNA da parte delle case farmaceutiche, l’invito a inviare il tuo DNA a laboratori che poi ti raccontano che sei mezzo irlandese, un quarto indiano e un’altro quarto mongolo, non sono ricerche spinte dall’assistenza vocale.
E’ tutto un complotto? Qui apriamo altri capitoli che lascio a ciascuno di voi esplicare. Se vi trovate a leggere questa mia opinione, state davvero sbagliando qualcosa.
I commenti social al servizio
Vi invito, infine, a leggere e a seguire i commenti che le persone comuni scrivono sotto il post di Facebook, che qui vi riporto.
Si ritrovano due schieramenti, certamente non risolutivi. Che mi convincono maggiormente della necessità di questo blog e del lungo lavoro che ho da fare. Con fatica ma con equal entusiasmo, io ci sono.