Le case invisibili sono le nostre case attraversate da una connessione; sono le case costruite attraverso software di costruzione architettonica; sono le case che gli immigrati portano con se, nei propri cellulari, nelle immagini di luoghi e di spazi che non esistono più, distrutti dalla guerra o dall’abbandono.
Le case invisibili sono il capitolo di un libro Le case che siamo del professore associato di Storia dell’architettura contemporanea presso la Seconda Facoltà di Architettura “Luigi Vanvitelli” di Napoli, prof. Luca Molinari.
Le case che siamo
Luca Molinari, nel suo libretto, fa un excursus sulle varie case che sono esistite durante la Storia dell’architettura. Ci sono state le case solide, dominanti, sacre e trasparenti. Ci sono state le immagini delle case, le case democratiche e quelle senza radici. E poi ci sono le case che stiamo vivendo oggi. Appunto. Le case invisibili.
In ciascuna casa che abitiamo, Luca Molinari spiega che avviene uno scambio, tra noi e lo spazio abitato. Ciascuno di noi modifica lo spazio secondo i propri bisogni. Ma nello stesso tempo la casa, l’architettura della casa, influenza chi abita lo spazio.
Il concetto di casa si è modificato nel tempo. Il modo come abbiamo abitato le case ha subito mutamente culturali. Il concetto di casa è un concetto mobile, sul quale Molinari invita a riflettere e a ragionare per capire il tempo che stiamo vivendo e quale futuro ci aspetta.
Architettura e Architettura dell’informazione
Il libro mi è molto piaciuto e in particolar modo il capitolo sulle case invisibili di cui riporto i passi che ritengo più interessanti per l’architettura dell’informazione.
I confini, i limiti, gli spazi, i luoghi e i non luoghi, tutti concetti dell’architettura e dell’urbanistica, sono oggi concetti permeabili. Si tratta di concetti attraversati e attraversabili da informazioni, da onde magnetiche e sonore che rendono persino un muro fisico qualcosa di invisibile.
La casa rifugio, solida, che difendeva dai nemici si è trasformata in una casa attraversata dal wifi. Il wifi apre porte e muri. Il wifi, rende spazi, che un tempo erano intimi e inavvicinabili (se non specificatamente invitati), spazi pubblici e aperti.
Lo spazio, dunque, non è più (solo) spazio fisico, ma è anche spazio digitale, spazio informativo. La sua organizzazione non può dipendere solo dal movimento fisico ma anche dalle informazioni che lo modificano. La casa non è (solo) parte del sistema ma rientra nell’ecosistema digitale. Ne avevo pure parlato nell’articolo sull’ Onlife manifesto.
Ed è qui che l’architettura dell’informazione entra nella vita di tutti in maniera pervasiva.
Dal prodotto all’ambiente
Federico Badaloni, nel suo libro Architettura della Comunicazione di cui ho scritto la sintesi e alcune considerazione con l’omonimo titolo Architettura della comunicazione, sottolinea come persino il prodotto connesso, a cui viene dato un indirizzo IP, delle coordinate, diventi luogo.
La pervasività della rete rende sempre più labili i confini degli oggetti, dei software e l’intera realtà connessa appare connotata più dalle possibilità che ci offre che dai limiti fisici nei quali queste possibilità accadono.
Un prodotto diventa luogo, o addirittura ambiente, quando è tanto vasto da contenere al suo interno diversi luoghi.
Le case invisibili
La nostra stanzialità oggi ha subito trasformazioni notevoli. Cosa significa essere stanziali? Fermi in un luogo? Il concetto di rete ha del tutto eliminato il concetto di periferia. Il concetto di mobile ha del tutto eliminato il concetto di stabile.
Non è più il luogo, lo spazio o la mia posizione su questa terra, a definire il mio essere o le mie prospettive future.
Oggi è il tempo, l’uso che faccio del tempo, a definire chi sono.
Il tempo è sempre più la variabile che cambia la nostra prospettiva sul mondo.
Basta una connessione e un clic per viaggiare in altri luoghi, in altri spazi, in un’altre realtà, in un’altra dimensione, in altri luoghi lontani e astratti. Il tutto avviene in tempo reale, da un momento all’altro.
Tutto ciò condizionerà il modo in cui il nostro corpo, i sensi e le azioni a essi collegati abiteranno lo spazio reale. Con l’introduzione del wi-fi è già cambiata l’idea di casa futura che si era consolidata lungo il Novecento.
Il concetto di privacy è sempre più labile. Siamo sempre più disposti a cederne un pezzo in cambio di un servizio, più o meno illusorio.
La costante connessione alle applicazioni trasforma la casa in uno spazio attraversato sempre più da flussi di relazioni e informazioni, che, possiamo dire, abitano gli spazi insieme a noi.
Lo spazio sonoro
La casa è attraversata anche da suoni. Si tratta di notifiche, squilli, richiami, chat vocali, messaggi. Tutti suoni che hanno un significato. Suoni che distinguono chi chiama, la proprietà del dispositivo che suona, quale applicazione all’interno del dispositivo si è avviata, e ci richiama in un altro luogo. Questi suoni sono poi la punta dell’iceberg degli smart speaker che piano piano entreranno nelle nostre case.
Ogni clic, ding, clop, drill, sbeng, ring che risuona nel mezzo della notte, durante una cena, in bagno o durante la prima colazione ci ricorda che non siamo soli tra quelle mura e che il mondo fuori, in realtà, è dentro ogni gesto, un tempo gelosamente riservato a chi era parte dell’ambiente familiare. Non solo, la connessione ci consente di osservare e vivere le vite degli altri che moltiplicano all’infinito ambienti abitati. Oggetti, emozioni, viste e paesaggi rendono la nostra casa un frammento di una iperabitazione globale abitata da milioni di persone. Quelli che prima erano i paesaggi domestici in cui si entrava solo invitati, la soglia chiara tra interno ed esterno, oggi sembrano essere definitivamente saltati per lasciare spazio a un universo di case che si ricompone giorno per giorno, come in Minecraft.
Minecraft è un gioco d’avventura dove puoi esplorare i mondi, le case, gli spazi costruiti dagli altri o costruire tu stesso il tuo reame.
O possiamo ricordare la costruzione di una città nel film Inception.
La soglia
Il concetto di soglia mi ha sempre affascinato. Un tempo concetto chiaro tra interno ed esterno, tra un mondo e un altro mondo, tra la realtà e un’altra dimensione. La soglia era un limite anche sacro.
I latini sostenevano che il viaggio più lungo fosse la soglia di casa. Una frase che mi ha sempre accompagnato nelle mie migrazioni e spostamenti. Era il primo passo che si deve affrontare ancor prima del lungo viaggio. Perché in un passo, in un gesto apparentemente semplice, nell’attraversamento di un limite, nel breve viaggio di una linea sottile, c’è tutto il tempo e l’esperienza di una decisione.
Progettare l’esperienza
Munari scrive
In un mondo in cui potenzialmente abbiamo tutto, vale di piú l’esperienza che il possesso immediato. E questo certo ci porta ad avvicinare la maggior parte delle simulazioni analoghe a un’idea di casa ideale.
L’idea che tutto possa essere raccolto e protetto in una cloud, una nuvoletta diffusa e invisibile, ha la capacità di annullare la distanza tra la casa e l’ufficio. Ci fa sentire tutti piú nomadi e liberi ma insieme impone la modifica dei luoghi che abitiamo.
Permettere che questa esperienza sia lasciata al caso non è più accettabile.
Connessi, presenti, umani
Federico Badaloni, nel paragrafo “Connessi, presenti, umani” continua a scrivere.
Le persone che si trovano nello stesso posto e nello stesso momento insieme, nel mondo fisico, possono interagire fra loro e con il contesto dandogli la forma e il significato che ritengono più funzionale alla loro relazione in quelle circostanze.
E’ attraverso l’interazione che due o più persone creano legami fra di loro con l’ambiente circostante.
E’ l’esperienza di una relazione che “dà senso”, cioè da significato.
Se in un ambiente fisico la precondizione della compresenza è l’esistenza dell’ambiente stesso, in un ambiente digitale la precondizione per essere “presenti insieme” è la connessione.
La qualità di questa connessione influenza profondamente l’ambiente all’interno del quale sarà possibile interagire con gli altri.
Progettare il lavoro, tra pubblico e privato.
Molinari ci ricorda che la casa, grazie ad una connessione, diventa facilmente, anche, ufficio. Privato e pubblico si mischiano e si confondono.
Se ognuno di essi (i luoghi di lavoro) è sotto la nuvola (cloud), vuol dire che ogni ambiente è buono e utile per lavorare. E in tal modo viene intaccata la distinzione tra le ore di lavoro e quelle della vita domestica o dello svago. L’effetto, riscontrabile in molte città nord-americane ed europee, è che il lavoro in casa diventa altrettanto alienante e porta molti colletti bianchi-casual a colonizzare bar, locali pubblici, spazi ibridi dotati di un’ottima connessione e arredati in modo accogliente e informale, dove è piacevole lavorare stando di fianco a sconosciuti che hanno la stessa esigenza.
In questi spazi si vivono nuove esperienze, nascono nuove relazioni, si muovono nuove emozioni.
La smaterializzazione del mattone
La più grande catena di alberghi al mondo è Airbnb. Con un valore di 30 miliardi di dollari, Airbnb non possiede alberghi e non ha mai costruito una casa. Prima di Airbnb c’è la più importante startup del mondo Uber. Uber è la più grande compagnia di trasporto pubblico con un valore di 68 miliardi di dollari e non possiede neppure una macchina. E di certo non ha autisti tra i suoi impiegati.
C’è già chi teorizza che in poco tempo la maggior parte delle persone, soprattutto tra le nuove generazioni, non avrà piú bisogno di case fisse e cercherà di volta in volta spazi flessibili e temporanei in cui fermarsi. Si tratterà di una popolazione abituata alla connettività rapida, alla flessibilità estrema, al distacco dal possesso di oggetti e beni, in sintesi abituata a un modo diverso di abitare e condividere i luoghi.
Più che una teorizzazione a me pare una realtà. Piuttosto si tratta di calcolare la velocità con cui si diffonderà tra di noi.
La casa e i social media
Ma il mondo è ancora più complesso. Non solo perché stratificato su più livelli sociali. Non solo perché rappresentato su più livelli semantici. Ma anche perché ciascun livello subisce una trasformazione continua. E ad una velocità a cui il mondo e la nostra umanità non sono abituati.
Le case che abitiamo e attraversiamo con il corpo e le loro appendici virtuali vivranno una lenta ma radicale metamorfosi sotto la spinta di tutti questi fenomeni che stanno erodendo dall’interno il paesaggio metropolitano contemporaneo. È venuto allora il momento di ragionare su categorie sociali diverse che vadano oltre l’abituale contrapposizione tra abitante stanziale, nomade, turista e homeless, puntando alla costruzione di forme alternative e consapevoli di cittadinanza.
La trasformazione, come ripetuto più volte, ormai da più parti, è culturale non tecnologica.
La figura del cittadino come colui che ha diritti e può costruire solo restando radicato a un luogo e a una casa probabilmente verrà messa in discussione da forme di mobilità che avranno un impatto notevole sui nostri paesaggi domestici. In una condizione di cittadinanza globale prodotta dal fatto che la maggior parte della popolazione mondiale vivrà in ambienti metropolitani diffusi e instabili, la vera sfida politica e culturale sarà quella di crescere pratiche attive di cittadinanza e appartenenza ai luoghi.
Le instagram stories
Capitolo di aggiornamento al 28 settembre 2017
Su questo tema mi sembra utile accennare a quanto avviene sulle instagram stories. Provate a visitare le instagram stories di un vostro contatto qualsiasi, se non lo avete già fatto. In questa nuova forma di comunicazione che si sta sempre più diffondendo è possibile vedere una grande quantità di intimità condivisa.
Ciascuno condivide la propria quotidianità e la rende pubblica.
Si condivide di tutto. Le strade, le case e i luoghi che si frequentano. Gli amici e le persone che si incontrano privatamente diventano contenuto per arricchire la propria timeline. La sveglia del mattino, la colazione nel proprio bar preferito, i momenti di riposo, i baci con fidanzate e fidanzati, i momenti di gioia come quelli di “noia”, alcune parti del proprio studio, le passeggiate, i preparativi in bagno, il trucco. Così anche il momento dell’attesa di un appuntamento diventa storia da raccontare, la conversazione con il taxista o l’autista presente nello spazio ristretto di una macchina viene meno, rispetto al racconto da fare alla propria fan base.
Ad ogni personalità corrisponde un modo diverso di sfrugugliare le curiosità pubbliche.
Ma soprattutto tutti i luoghi privati dove un tempo si era da soli, bagno e camera da letto, per non dire tutta la casa, oggi sono pubblici e di dominio pubblico, foss’anche solo per 24 ore.
Altro che case invisibili.
La casa del futuro
Di fronte alla crisi dello spazio pubblico tradizionale, l’ambiente domestico ha un potenziale straordinario su cui è importante tornare a riflettere. Un laboratorio fisico e virtuale in cui desideri, paure e differenze possono essere accolte come una risorsa che aiuti a ripensare l’idea stessa di città e di paesaggio umano e naturale per i prossimi decenni.
A questo punto non saprei se la domotica, il controllo della casa connessa e connessa ad una intelligenza artificiale sia avanti o già indietro rispetto al mutamento di cui parla Molinari. Certo è che tra le pieghe del cambiamento tutte queste sfumature esistono.
Alla ricerca della verità
Le case invisibili sono isole che non esistono, alla stessa maniera dell'”Isola che non c’è” di Peter Pan. Ma l’isola che non c’è, c’è o non c’è? Quale sarà la nostra realtà, la nostra Verità? Queste le domande che il professore di filosofia medievale mi poneva durante i miei anni universitari.
La risposta, diceva il mio professore, bisogna cercarla nella Questio Veritate di Tommaso d’Aquino che recitava
« Veritas: Adaequatio intellectus ad rem. Adaequatio rei ad intellectum. Adaequatio intellectus et rei. »
« Verità: Adeguamento dell’intelletto alla cosa. Adeguamento della cosa all’intelletto. Adeguamento dell’intelletto e della cosa. »
Ma ci stiamo allontanando troppo e quindi mi fermo.
Le geografie dell’ascolto
Non posso, però, concludere questo articolo/recensione senza ripensare e riproporre le geografie dell’ascolto. Perché immersi in questo scenario sempre più liquido, in un ecosistema che si allarga e si chiude (allo stesso tempo), le trasformazioni epocali avvengono nel macro come nel micro. Dove lo spazio e il luogo non hanno più una fisicità resta l’uomo e la sua concretezza, il suo essere carne ed ossa. L’uomo resta con i suoi bisogni arcaici, fisiologici e psicologici sempre uguali. Resta il mistero della Vita, con la sua voce, lo spazio di un dialogo, di una conversazione.
Per questo motivo l’uomo, oggi, più che mai, deve essere posto al centro della nostra attenzione. Lo spazio di una relazione, la sua voce, la sua capacità di dialogo, la sua esperienza dell’umanità, devono essere curati e preservati.
Per questo mi sento di sottolineare la mia formazione umanistica e il bisogno forte di umanisti.
La sfida è ardua e riguarda tutti.