In questi giorni si sta svolgendo la settantaduesima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e dato il mio amore per il Cinema, ho tralasciato per un po’ i miei studi sull’architettura dell’informazione.
Tranquilli, però, non voglio tediare con digressioni chi invece viene a cercare su questo blog quanto promesso fin dal primo post. E dunque oggi vi parlo della Musica che si vede, ossia della Musica per il cinema.
Abbiamo fin qui parlato di geografie emozionali, di luoghi che si creano nel contatto di una conversazione, di emozioni che si trasmettono attraverso una voce. E come poter rinunciare a parlare di emozioni che si trasmettono attraverso una musica, attraverso un contesto sonoro?
La necessità di una musica di sottofondo nei film fu subito sentita fin dai primi albori del cinema. Molti possono pensare alla colonna sonora come l’aggiunta di una musica ai film muti. Certo, anche, ma i primi film muti non erano certo silenziosi. Basti pensare che le prime macchine di proiezione erano molto rumorose (lo sono state fino ad anni più recenti) e la visione non era affatto silenziosa (anche tra il pubblico). Quindi la musica di sottofondo nasce principalmente per necessità, come elemento funzionale, da un lato per coprire il rumore dell’ambiente in cui avveniva la proiezione e dall’altro per supplire le mancanze di un’arte agli albori, ancora tecnologicamente grezza e che stava compiendo i primi passi.
Nell’immaginario comune abbiamo tutti ben presente i pianisti che suonano alla base dello schermo. Meno noti furono i compositori di queste musiche per il cinema. Musicisti che spesso furono disprezzati dai puristi dell’epoca e che dovettero inventarsi un mestiere: un mestiere che doveva unire le necessità della musica, come le necessità del cinema e, nello stesso tempo, con la capacità di creare emozioni.
Ennio Morricone ebbe a dire che:
La musica per il cinema è quella musica che tutti sentono e che nessuno ascolta.
Lo spettatore del cinema è poco cosciente della funzione della musica perché ci si trova all’interno di un inganno, di una convenzione, di un patto tra noi, pubblico, e regista. La musica di sottofondo che noi spettatori ascoltiamo è una musica di cui nessuno sa l’origine ma è accettata da tutti e questo non influenza la credibilità del film. Anzi, in un film come “I magnifici sette” per esempio è la colonna sonora che ha arricchito il film e fatto la sua fortuna. Chi si ricorda di questo film lo ricorda come un film trepidante e pieno d’azione ma al contrario, la reazione di chi vide il film senza la musica fu una reazione negativa per aver visto un film noioso e molto lento.
Questo solo come esempio, ma ce ne sono anche altri: come sarebbero stati tanti film senza le musiche di Morricone? Gli Intoccabili avrebbe avuto lo stesso successo senza la sua musica?
Tra gli elementi che compongono la pellicola, la musica è certamente l’elemento che crea maggiori relazione e legami con lo spettatore. La musica opera in modo invisibile e quasi segreto, influenzando l’inconscio, colpisce il nostro intimo provocando emozioni, a volte, indimenticabili.
La musica intensifica, contrasta, inganna, entra nella psicologica dei protagonisti, quindi si inserisce in un contesto geografico e temporale (ricordate? Le geografie emozionali e le geografie dell’ascolto?) che coinvolge lo spettatore emotivamente. La musica che si vede, o il cinema che si ascolta, dunque, è la concretizzazione fisica di un contesto sonoro, un contesto sonoro che viviamo ma di cui spesso non ci accorgiamo.
P.s.
Data la vastità degli argomenti, ritornerò anche su questo tema così come su molti dei miei post; anche perché, da quando scrivo questo blog, mi piovono addosso tanti consigli di letture molto interessanti che non voglio deludere e che sono certo mi porteranno ad altre riflessioni da condividere. Approfitto per ringraziare tutti coloro che mi indicano indizi e nuove strade da seguire sull’argomento. Grazie a tutti!
BONUS (Digressione)
Per chi è interessato, invece, a #Venezia72 vi indico 3 film (tra quelli visti quest’anno in concorso) da vedere (se vi fidate).
Anomalisa di Charlie Kaufman – Animazione in Stop-Motion fatto benissimo, con pupazzi piacevoli da vedere e curati nei dettagli. Una storia apparentemente semplice di un uomo in crisi che resta in crisi. Tutti i personaggi sono complessi, sono pupazzi ma sono molto vivi e allo sceneggiatore non servono grandi giri di parole per raccontarli. Pochi tratti, pochi indizi, per immaginarsi tante storie di vita.
11 Minutes di Jerzy Skolimowski – Cinema allo stato puro. Tante storie che si intrecciano in 11 Minuti. Se trovo sul web qualche traccia ne parlerò volentieri per le sue caratteristiche audiovisive. L’ architettura del film (anche se non del tutto originale) è solida e il regista può giocare con le immagini senza paura di far perdere lo spettatore. Il regista riesce anche a mostrare un po’ di cinema sperimentale confermando la mia tesi che il film d’autore non deve essere per forza lento e noioso. Da vedere! E scoperto il momento in cui tutti i personaggi si incontrano… da rivedere per stare attenti a tutti i particolari.
Remember di Atom Egoyan – La memoria è qualcosa che si perde e si riacquista. Ma certi ricordi abbiamo tutti il dovere di mantenerli. Tra questi Auschwitz: il genocidio di milioni di ebrei, omosessuali, e lo sterminio di migliaia di essere viventi. Una vendetta sottile ricorda a tutti noi che questo è stato.