L’umanesimo digitale è un tema che, in modo quasi casuale, ha attraversato diversi momenti della mia vita, affiorando nei miei pensieri e nelle mie esperienze sin dagli anni universitari. Già allora, nei primi dibattiti sull’uso di internet nell’insegnamento, si intuiva il potenziale trasformativo della tecnologia come strumento al servizio della conoscenza e dello sviluppo umano.
Negli anni, l’idea di un’alleanza tra cultura umanistica e innovazione tecnologica ha continuato a intrigarmi, seppur senza mai diventare un focus consapevole. Oggi, tuttavia, sento che è giunto il momento di atterrare con maggiore consapevolezza in questo mondo, esplorandone le possibilità e i limiti con lo stesso spirito critico e curioso che guida il mio percorso.
Un percorso professionale e un racconto di vita.
Così, vi voglio raccontare il mio percorso professionale che arriverebbe ad oggi e all’umanesimo digitale, partendo da una lunga esperienza professionale. Quando ho iniziato a occuparmi di “architettura dell’informazione”, ero entusiasta all’idea di costruire spazi digitali chiari, ordinati e navigabili, proprio come si farebbe con stanze e corridoi di una casa accogliente. Chi mi segue sa che ho dedicato diversi articoli per raccontare l’architettura dell’informazione come intelligenza disciplinare che ha cambiato il mio approccio a tutti i progetti che seguo e sul perché mi ha colpito e si è rivelata una vera e propria epifania professionale.
L’architettura dell’informazione, in fondo, non è altro che la disciplina che studia il modo migliore per organizzare i contenuti – testuali, visivi, multimediali – così che le persone possano trovarli, comprenderli e interagire con loro in maniera naturale. Definizione che, sembrerà strano, mi entusiasma ancora adesso mentre la scrivo e la rileggo.
Ho creduto così tanto in questa strada da dedicare tempo ed energie per anni, approfondendo ogni sua sfumatura, dalla realizzazione dei siti web alla progettazione di chatbot e assistenti vocali.
Formazione professionale nella comunicazione
Il mio percorso professionale si è sviluppato all’incrocio tra comunicazione, tecnologia e cultura, seguendo una traiettoria, a volte consapevole, altre volte in modo del tutto casuale, che ha coniugato curiosità personale e spirito d’adattamento.
Sin dagli inizi, ho cercato di esplorare realtà professionalmente e geograficamente distanti tra loro. Durante gli studi universitari, ho avuto l’opportunità di immergermi nel mondo delle TV locali e della Radio. Poi, finita l’università ho avuto il privilegio di frequentare l’ambiente accademico irlandese, un’esperienza che mi ha permesso di confrontarmi con approcci e metodologie internazionali. Successivamente, ho lavorato nell’ufficio stampa di una rivista di settore commerciale, in Romania, sperimentando le dinamiche della comunicazione in un contesto culturale diverso, e ritornato in Italia ho collaborato con l’ufficio stampa di RCS Mediagroup, una delle principali realtà editoriali italiane, legata a testate iconiche come Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport.
Per quasi un decennio, poi, sono stato parte integrante del Servizio Comunicazione dell’Università Ca’ Foscari Venezia, un ruolo che mi ha permesso di consolidare la mia esperienza nell’ambito della comunicazione istituzionale. Accanto a questa attività, ho collaborato con il Comune di Venezia per promuovere il Carnevale, uno degli eventi culturali più noti al mondo. Queste esperienze mi ha immerso in un panorama che oscillava tra tradizione e innovazione, offrendomi l’opportunità di comprendere le sfide e le opportunità della narrazione culturale.
Formazione professionale nel web
Durante quegli anni, ho avuto modo di approfondire l’ambito dell’editoria e di mettermi alla prova con un progetto che univa creatività e tecnologia: la direzione della web radio dell’Ateneo, Radio Ca’ Foscari. Sotto la mia guida, nel 2014, la radio è stata riconosciuta come la seconda migliore web radio d’Italia, un traguardo che ha rappresentato per me una sintesi perfetta di ciò che amo: l’intersezione tra comunicazione, architettura dell’informazione e innovazione digitale.
Oggi, guardando a questi anni di formazione e pratica, sento che il tema dell’umanesimo digitale non è un elemento accidentale del mio percorso, ma un filo conduttore che mi ha accompagnato in ogni esperienza, guidandomi verso una riflessione più consapevole su come la tecnologia possa ampliare, anziché restringere, gli orizzonti del sapere e della condivisione.
Il mio blog per l’architettura dell’informazione
Dal 2015 scrivo il mio blog, l’ultimo, dopo quello di Luca Rosati, in Italia, a occuparsi ancora di architettura dell’informazione in maniera aperta.
Il mio blog, lo dico a cuore aperto, mi ha sempre dato un senso di realizzazione, anche quando fuori sembrava che tutti navigassero solo sui social. E mi è stato vitale, salvandomi la vita in momenti brutti, dandomi uno scopo, settimana dopo settimana.
Per me è stato e rimane un rifugio personale, che non abbandonerò mai; un posto dove scrivo articoli con passione, certo che qualcuno li avrebbe letti e che, a modo suo, se ne sarebbe arricchito.
I numeri dei lettori quotidiani conferma una base fedele di lettori e la validità degli argomenti che tratto e che ho trattato nel tempo. I maggiori risultati li ho avuti per il mio interesse verso la tecnologia sonora. E in una lunga serie di articoli tra i più letti.
Bene, non benissimo
Dunque posso dire di essere abbastanza soddisfatto dei risultati avuti. Considerato che si tratta di argomenti di nicchia e di un blog portato avanti da una sola persona. Eppure, per gli obiettivi che mi ero prefissato, il blog non si è mai trasformato nella grande piattaforma che speravo potesse diventare.
E se c’è un buon proposito da attuare, un obiettivo da raggiungere, un sogno ancora irrealizzato è quello di creare una comunità di pratica o di studenti.
Una comunità che si allontana
Le mie comunità di riferimento mi sono state lontane e si sono sempre più allontanate. Un po’ perché lo sono fisicamente, io sono stato costretto a restare stanziale nella mia provincia del profondo sud. E un po’ perché i miei bisogni sono cambiati rispetto a chi si approccia oggi alla disciplina. Diciamo che sono invecchiato anch’io.
Tra i miei numerosi contatti, come se non bastasse, (quasi) nessuno è riuscito davvero a cogliere il significato del mio ruolo: che cosa significhi essere un architetto dell’informazione o cosa sia l’architettura della comunicazione, e quale sia il valore di un’attività a cui ho dedicato con passione tempo, studio ed energie.
Questi dovrebbero essere fatti su cui riflettere. Su quanto ancora ci sia da fare per rendere comprensibile e riconoscibile una professione che resta spesso invisibile, ma che è fondamentale per dare struttura e senso al caos dell’informazione.
Resta la percezione di un lavoro affascinante ma lontano, sfuggente e poco definito, che non è mai riuscito a imporsi come meriterebbe.
Avanti, lentamente
Non lo ritengo però solo un problema personale. Credo che il fenomeno sia più ampio e riguardi il mondo del lavoro italiano in generale.
Va detto che potrebbe anche essere colpa mia: forse non sono stato abbastanza brillante e probabilmente il ruolo di caregiver che ho ricoperto per 12 anni ha limitato le mie possibilità di costruire relazioni o di produrre contenuti straordinari. Mi assumo pienamente le mie responsabilità.
Tuttavia, non si può ignorare che la comunità in cui opero è rimasta anch’essa una nicchia estremamente piccola, incapace, finora, di aprirsi davvero a un pubblico più ampio o di valorizzare chi cerca di contribuire.
L’architettura dell’informazione oggi (secondo me)
In questi anni la disciplina ha fatto passi avanti per farsi conoscere. Nelle nostre bolle sembra che tutti vogliano diventare UX Designer e pare che in massa si voglia scegliere di diventare UX Designer. Certo è che è nata l’esigenza di formare nuovi professionisti in questo campo, con corsi universitari, master dedicati e agenzie, nelle grandi città del centro nord, che cercano espressamente figure specializzate nel campo dell’User Experience. Ma la disciplina fatica a diffondersi nella provincia e nella cultura, digitale di questo Paese.
Al di là delle mancanze personali, dunque, per me due ragioni appaiono chiare rispetto alla mancata diffusione della disciplina. Da un lato gli architetti dell’informazione non hanno mai raggiunto posizioni apicali. Ad oggi non conosco architetti dell’informazione che occupino posizioni decisionali. E dall’altro lato, l’altra ragione più evidente, secondo me, è che, soprattutto nelle posizioni dirigenziali, manca una cultura che sappia riconoscere e valorizzare le potenzialità di un architetto dell’informazione.
Il risultato è che l’architettura dell’informazione funziona, permette a siti e a persone che la praticano di lavorare, di portare risultati ai clienti e alle aziende che ne fanno uso. Ma non esplode, resta sempre una disciplina marginale. Si continua a guardare a questo ruolo con curiosità, ma anche con un certo distacco, senza la volontà di investirci davvero.
L’interesse per chatbot, assistenti vocali e interfacce conversazionali
In questi anni, di studio e scrittura, mi sono ritrovato ad applicare i principi dell’architettura dell’informazione non solo a siti web e piattaforme digitali, ma anche alle interazioni verbali tra l’utente e la macchina. È così che ho iniziato a occuparmi di chatbot e di assistenti vocali, entrando in punta di piedi nel mondo del conversational design.
In sostanza, ho esteso la stessa attenzione che riservavo alla struttura dei contenuti scritti alla progettazione dei dialoghi, con l’obiettivo di rendere le conversazioni con un software fluide, empatiche e, in fondo, più umane.
Questa svolta mi ha inaspettatamente riportato ai miei primi amori accademici: la linguistica e lo studio delle parole.
Per progettare un buon dialogo con un assistente virtuale, non bastano codici e framework tecnologici: serve una comprensione approfondita di come comunichiamo, di quali sono i meccanismi del linguaggio, le sfumature del significato e i contesti culturali in cui le parole assumono risonanza.
È qui che ho visto sbocciare di nuovo la passione per la linguistica e la linguistica computazionale, cioè quella disciplina che studia come elaborare il linguaggio attraverso algoritmi e modelli matematici, ma sempre con un occhio attento alla potenza e alla complessità di ogni singolo termine.
Nel riscoprire la linguistica, non potevo non tornare alle mie radici: i classici della letteratura greca e latina.
L’antichità dopo la modernità
Nelle parole di Platone, nelle strutture sintattiche di Cicerone e nell’epica omerica, ho ritrovato una ricchezza di forme e significati che, in un certo senso, anticipa tutto ciò che oggi facciamo attraverso la tecnologia.
Il potere evocativo dei classici, del resto, è un ponte ideale tra l’amore per la cultura umanistica e la curiosità verso le innovazioni digitali.
E forse è proprio questa unione, tra i dialoghi dei chatbot e la grande tradizione letteraria, a rappresentare il cuore pulsante del mio nuovo passaggio professionale.
Lezioni private e umanesimo digitale
Dopo tanto girovagare professionale, dunque, tornato nel mio paese di provincia, ho notato un fatto curioso. Nonostante tutto questo mio “fare” fosse stato ampiamente raccontato e condiviso, pochi avevano davvero compreso che cosa stessi facendo.
Sono bastati un paio di post sui social per dire che, costretto a restare nella mia casa di provincia a fare da cargiver a mio padre, mi offrivo come insegnante di latino e greco, ed ecco che magicamente tutti hanno saputo “incasellarmi” come professore.
Da un lato, ho sorriso davanti alla semplicità con cui venivo finalmente identificato; dall’altro, ho capito che senza rinnegare tutto ciò che ho fatto, era doveroso unire ogni pezzo di questo puzzle in un ritratto più coerente con la mia storia personale.
È per questo che oggi parlo di “umanesimo digitale”. Per me non è soltanto un’etichetta, ma un ritorno alle origini e, allo stesso tempo, la vetta più alta di un percorso a cui ho dedicato anni di energia e passione.
Cos’è l’umanesimo digitale
L’umanesimo digitale mette al centro l’essere umano, i suoi valori e il suo linguaggio, sfruttando la tecnologia come strumento per amplificare la comunicazione, favorire il dialogo e coltivare relazioni virtuose.
È un modo di ricomporre i fili: la mia formazione classica con l’amore per le lingue antiche, la mia esperienza nel giornalismo e nella radio, la mia curiosità verso l’innovazione e la tecnologia. Nulla di ciò che sono e sono stato va perso: ogni tappa mi ha portato a comprendere come la narrazione e la condivisione siano fondamentali, e come l’architettura dell’informazione, alla fine, non sia altro che una delle radici di questa grande pianta chiamata umanesimo digitale.
Un ponte tra la tradizione e la modernità
Non ho cambiato direzione insomma.
Ho soltanto deciso di guardare in profondità le mie competenze, il mio sguardo sul mondo e la mia capacità di valorizzare la voce umana anche nel frastuono del web. Oggi mi piacerebbe presentarmi come un umanista digitale, un “ponte” tra la tradizione e la modernità. Ricordando il titolo del mio professore di Latino presso l’Università degli studi di Palermo, Giusto Picone, essere l’antichità dopo la modernità.
Forse è la sintesi più sincera di tutto ciò che ho imparato a fare e che continuo a fare ogni giorno: raccontare, ascoltare, dare forma alle informazioni mettendo sempre al centro l’essere umano sempre intrecciando la passione per la parola con l’amore per la tecnologia.
Prof per tutti!
Mi augurerei che “umanista digitale” possa essere più chiaro di quanto lo sia stato “architetto dell’informazione”, almeno per le persone che vogliono capire chi sono e cosa faccio.
In fondo, dietro a ogni definizione si nascondono l’amore per le parole, la cultura e una certa passione per il web.
Se le espressioni perplesse continueranno a palesarsi, non sarà più necessario perdersi nelle spiegazioni astratte su cosa sia l’architettura dell’informazione e le sue mille declinazioni.
Basterà dire: “Sono un professore di italiano che lavora anche col web”, qualcosa che davvero tutti possano comprendere, senza rinunciare al mio sogno di portare l’umanesimo nel cuore della tecnologia.
Insomma, Prof per tutti!