Un articolo sui chatbot che è cresciuto nel tempo e che raccoglie notizie e riflessioni prodotte durante questi anni di attività del blog.
In questi primi paragrafi trovi una sintesi veloce sui chatbot e una risposta immediata alle domande che mi sono state poste dai lettori. Di seguito, troverai gli articoli di approfondimento.
Cos’è un chatbot, definizione chatbot, utilizzo chatbot
Un chatbot è un software progettato per imitare conversazioni umane, permettendo agli utenti di interagire con sistemi digitali come se stessero parlando con una persona reale. Spesso utilizzati per automatizzare il servizio clienti, i chatbot sono programmati per rispondere a domande frequenti, assistere nelle prenotazioni, o guidare gli utenti attraverso siti web. L’avanzamento dell’intelligenza artificiale ha permesso ai chatbot di offrire esperienze sempre più sofisticate e personalizzate.
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I video di robot che comunicano in una lingua sconosciuta mostrano esperimenti in cui sistemi di intelligenza artificiale sviluppano modi di comunicare che non seguono le convenzioni umane. Questi esperimenti sollevano questioni affascinanti sulla natura del linguaggio e sull’evoluzione dell’IA. Ad esempio, progetti di ricerca in cui due AI, inizialmente programmate per utilizzare l’inglese, hanno creato abbreviazioni e strutture proprie per ottimizzare la comunicazione, rendendo il loro linguaggio incomprensibile agli umani.
Tipi di chatbot, chatbot basati su regole, chatbot AI
Esistono principalmente due tipi di chatbot.
Chatbot basati su regole: Questi chatbot seguono un flusso di conversazione pre-programmato e rispondono alle domande basandosi su uno script definito. Sono efficaci per compiti specifici e prevedibili.
Chatbot basati sull’intelligenza artificiale: Utilizzano il machine learning e il processamento del linguaggio naturale per comprendere il contesto e imparare dalle interazioni. Questi chatbot possono gestire richieste più complesse e offrire risposte più personalizzate.
Significato e impatto dei chatbot nella società digitale
Il termine “chatbot” deriva dall’unione delle parole “chat” (chiacchierare) e “bot” (robot), indicando software che può condurre conversazioni attraverso metodi testuali o vocali. L’impiego dei chatbot sta rivoluzionando il modo in cui le aziende interagiscono con i consumatori, offrendo servizi accessibili 24/7 e migliorando l’efficienza del servizio clienti.
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Quando i robot parlano tra loro, possono emergere dinamiche linguistiche uniche. In certi casi, due AI possono decidere di modificare il loro codice comunicativo per efficienza, creando varianti linguistiche che, pur basate su linguaggi umani, si discostano notevolmente da questi per complessità e struttura. Questi fenomeni offrono spunti affascinanti sull’evoluzione potenziale dell’intelligenza artificiale e sulle sfide nella supervisione di sistemi sempre più autonomi.
Una storia semplice
Chatbot, in tanti, anche tra i miei amici, si chiedono
Cosa sono questi chatbot? Cosa fanno? A cosa servono?
Chi si è un po’ informato poi chiede…
Quali vantaggi per le persone? Quale vantaggio posso avere io nell’usare un chatbot? Quali vantaggi per la mia azienda?
Ho scritto tanto in questi anni, forse troppo rivolto a seguire e condividere le mie ricerche, o forse mi sono rivolto sempre a persone che già sapevano cosa fosse un chatbot.
Ho cercato e cerco il confronto con chi si pone problemi di carattere etico ed ho cercato di indagare in profondità le ragioni dello strumento.
Questo articolo, vorrebbe essere qualcosa di più semplice. Nelle mie intenzioni si tratta di un articolo rivolto alle persone che non hanno nessuna idea di cosa sia un chatbot e vogliono capire perché è necessario che qualcuno se ne occupi, come fa questo blog ogni settimana, perché sostenere la progettazione di un chatbot, anche se pensiamo di non doverne mai fare uso.
La rivoluzione mobile
Il 9 gennaio 2007, Steve Jobs presentò l’iPhone mostrando al mondo un dispositivo che aveva unito tre prodotti in uno: un iPod, un telefono e un dispositivo per accedere a Internet.
Questa trasformazione dei vecchi telefoni mobile a telefoni intelligenti, ossia smartphone, è stata una trasformazione epocale per vari motivi. Era l’inizio di una trasformazione culturale di cui oggi ne viviamo gli esiti.
La connessione al cloud, le velocità di connessione di cui possiamo godere oggi, hanno permesso di ricevere informazioni in qualunque luogo civilizzato ci troviamo.
Oggi abbiamo a disposizione una potenza di calcolo, impressionante, perché quella potenza non deve più essere presente sul nostro dispositivo. Le enormi distese di server e computer possono stare benissimo negli Stati Uniti e a noi basta connetterci alla rete per usare quella potenza.
Cambio delle abitudini
Questo, insieme ad altri fattori, ha cambiato il modo di comunicare delle persone e ne continua a cambiare le abitudini comportamentali sul web e nella realtà. Basti ricordare il concetto di Onlife o riflettere sulle nostre case invisibili.
Si modificano anche le nostre relazioni. Sempre più connessi e sempre più soli. Basta osservare, per 5 minuti, un gruppo di adolescenti per rendesi conto che le loro relazioni non sono uguali alle relazioni che noi quaranta/cinquantenni avevamo alla loro età.
Ma una volta che una tecnologia viene messa a disposizione di tutti, le persone, poi, ne fanno l’uso che ritengono più conveniente.
Senza stare a raccontare i dettagli, per grandi linee, all’inizio c’è stato il successo delle chat, che inizialmente erano luoghi pubblici, delle vere e proprie piazze di incontro, spazi virtuali dove conoscere persone, gente reale. Da quelle chat sono nati i primi amori online, amicizie, gruppi di studio. Con il tempo queste conversazioni sono diventate sempre più private, sempre più intime.
Oggi, sono scomparsi del tutto gli sms, preferiamo un messaggio ad una telefonata, si invia un messaggio vocale invece di chiamare ed avere una risposta immediata.
La disintermediazione
Lo schermo di un PC o di uno smartphone è diventato scudo e filtro delle nostre relazioni. Ha permesso e permette alle persone di dire cose che non direbbe in un contesto fisico reale. Spesso le conversazioni esplodono in scontri violenti.
Di contro, la sicurezza della propria stanza permette di rivelare emozioni che un tempo rimanevano chiuse in un cassetto. Come se la connessione con gli altri permettesse una maggiore comunicazione con noi stessi.
Così come i nostri beneamini, i nostri cantanti preferiti, i nostri attori e politici di riferimento, un tempo lontani, irraggiungibili, o raggiungibili solo attraverso lunghe e faticose ricerche, oggi sono direttamente raggiungibili, e l’intermediazione è sempre più sottile.
Stare dove stanno le persone
Nel momento in cui le piazze da fisiche sono diventate virtuali, le aziende, insieme ai direttori del marketing, hanno preso la decisione di stare in mezzo alla gente, o meglio, di andare dove la gente conversava. Le persone guardano meno la TV? Le persone, i consumatori preferiscono Facebook. E così tutti siamo scesi nelle piazze virtuali.
Una scelta aziendale
In buona parte, come dicevo, lo hanno voluto le aziende, che nella ricerca dei clienti e seguendo la buona pratica di essere presenti dove si trovavano le persone sono scese, per così dire in campo.
Le aziende, hanno iniziato ad inviare messaggi, mail, hanno cercato la confidenza dei consumatori, ci hanno chiamato per nome, come se facessero parte delle nostro quotidiano.
Se mi chiami, anch’io ti posso chiamare
Le aziende sono entrate nelle conversazioni delle persone, hanno chiesto i più disparati parere su un prodotto. Ed hanno aperto un canale anche quando ci sarebbe stata la possibilità di dire qualcosa di brutto.
Così, se subiamo un disservizio, se dobbiamo fare una domanda, se abbiamo dubbi, se sorge qualche disagio o problema, siccome l’azienda è entrata in casa nostra con tanta facilità, anche noi entriamo, a qualunque ora e momento, nella comunicazione delle aziende.
Non vi è mai capitato di scrivere, in un momento di disperazione, attraverso tutti i canali possibili, dove l’azienda è presente? Facebook, Twitter, mail. Ovunque, tanto più non si ricevono risposte immediate o insoddisfacenti.
Nella maggior parte delle volte il problema si risolve e sono certo avete trovato la soluzione. Le aziende si sono attrezzate anche molto bene per dare risposta alle persone. Degli ottimi social media manager, dirigono le conversazioni ai call center e grazie a strumenti adatti al customer service, si da risposta puntuale ai consumatori e a raccogliere le informazioni sui vari canali social.
Costi sempre più alti
Ma per gestire questi servizi è necessario investire nei call center. Per rispondere a tutti e in tempi sempre più veloci, sono necessarie sempre più persone.
E nonostante tutto, le aziende spesso non sono in grado di presidiare tutti i canali, dal telefono, ai social, con un servizio clienti aperto 24 ore su 24.
Chi, infatti, può permettersi di rispondere in maniera precisa e puntuale, ad un gruppo di clienti sempre più numerosi e con problemi sempre più personali e unici?
Se a questo si aggiunge il desiderio delle aziende di risparmiare sui costi del call center, spesso esterni all’azienda, e il sogno di poter rispondere a tutti e meglio degli esseri umani, ecco che si fa strada l’idea di avere un chatbot.
Assistenza continua e perpetua
Dal 2007 ad oggi, il bisogno di dare sempre più assistenza è cresciuto senza riuscire mai ad essere soddisfatta a pieno.
Ed ecco che, mettendo insieme un po’ di elementi di cui abbiamo parlato fino ad adesso, il trend della messaggistica, la preferenza di messaggi rispetto alle chiamate, l’evolversi dell’intelligenza artificiale, la potenza di calcolo dei nostri cellulari che si può svolgere in cloud, si apre la strada a chatbot e interfacce vocali.
Questa tecnologia, in pratica, attraverso software è in grado di rispondere in automatico, in ogni momento del giorno e della notte, a determinate domande di persone che pensano di poter scrivere in qualunque momento e in qualunque situazione.
Chatbot: cosa sono e quali vantaggi portano alle aziende
I Chatbot sono dunque programmi che simulano conversazioni. Si tratta di programmi che rispondono in modo automatico a messaggi umani, rispondendo a domande definite.
Per funzionare, utilizzano algoritmi di intelligenza artificiale che restituiscono un dialogo di senso compiuto alle persone.
Dall’altro lato hanno bisogno di essere progettati, perché le macchine, i programmi, vanno istruiti. I dialoghi, le risposte, i possibili servizi a cui possono rispondere vanno scritti. I programmi comprendono il linguaggio, ma non si inventano i dialoghi, capiscono il senso di una parola, se le persone, delimitano il senso di quella parola, in modo che la macchina capisca.
Perché i Chatbot riguardano anche te
Se sei arrivato fin qui, ti apparirà chiaro che prima o poi e in un tempo non troppo lontano, anche tu avrai a che fare con un chatbot.
Non so se lo farai per gioco, per una tua scelta, o se l’azienda a cui chiedi un servizio, ti costringerà a passare da un chatbot prima di parlare con un operatore umano, fatto sta che la cosa accadrà.
Ora, quel momento, sarà un momento dove vivrai un’esperienza positiva? Oppure sarà qualcosa che non vorrai che accada mai più? Sarai felice di avere risposte immediate, in tempo reale, in qualunque momento? Oppure preferirai utilizzare il tuo tempo, a determinate ore del giorno, e attendere l’operatore per minuti e minuti interminabili?
La maggior parte delle persone vorrà risposte immediate. Ma queste risposte dovranno essere anche puntuali e precise.
Per fare questo è necessario che il chatbot e i dialoghi siano ben progettati, ossia ben pensati, che siano in grado di guidarvi e di portarvi alla risoluzione del vostro problema.
Senza progettazione, senza persone che mettano al centro altre persone, questo non è possibile. E se la tua esperienza non sarà delle migliori, significa che il chatbot non è stato progettato.
Pensi che il tema ti può interessare, puoi partecipare al mio corso di progettazione chatbot o invitare altri a partecipare.
Chatbot che parlano una lingua sconosciuta
Non ci sono chatbot che parlano una lingua sconosciuta. È la nostra lingua, quella dei chatbot. E quello che sentiamo è solo paura di noi stessi, del nostro orrore. Siamo talmente consapevoli del male che siamo capaci di fare, agli altri, al mondo che ci circonda, persino a noi stessi, che non vediamo l’ora di rispecchiare in altri, quello che noi, esseri umani, siamo capaci di fare.
Quello che hanno scritto sui giornali
Intelligenza artificiale Facebook e chatbot che parlano una lingua sconosciuta hanno riempito alcune pagine di giornali e molte pagine online. Sono diventati un ottimo argomento per tutti i vacanzieri. Qualcuno ha parlato di fake news. di bufala. Io non mi permetto. Ma dal momento che questo blog si occupa di assistenza vocale e chatbot è doveroso un mio intervento.
In breve, la notizia, ripresa in Italia dai tabloid inglesi, è che due chatbot parlando tra di loro e accidentalmente si sono inventati una propria lingua sconosciuta. Questa lingua avrebbe spaventato i ricercatori tanto da costringerli a concludere l’esperimento.
Il Messaggero scriveva
Paura nella Silicon Valley dove due robot hanno iniziato a dialogare in una lingua a noi non nota e incomprensibile. Sgomento e panico tra i ricercatori che, dopo lo stupore iniziale, hanno immediatamente staccato la corrente.
Altri hanno parlato di una lingua sconosciuta e segreta. Tanto che i ricercatori sarebbe stati costretti ad uccidere (hanno usato proprio questo termine) i due chatbot e interrompere l’esperimento, staccando la spina.
In realtà…
In realtà i due chatbot, sotto osservazione dei programmatori, parlavano in inglese. Durante l’esperimento si sono messi a parlare in un inglese senza senso. Questo non ha sorpreso nessuno, dato che l’uso di un linguaggio non riconoscibile è un errore di programmazione che non avrebbe portato a nulla.
Quindi nessun taglio di corrente, nessuna uccisione, semplicemente un’esperimento andato male. Subito corretto e i con alcuni risvolti interessanti e per nulla spaventosi.
Al’estero d’altronde un errore è un risultato in ogni caso e non è biasimabile così come lo è in Italia. Bisogna, inoltre, spiegare che, in ogni esperimento di programmazione, nel momento in cui i ricercatori non capissero il linguaggio dei software, non capirebbero neppure dove sta l’errore e neppure il risultato. Continuare un esperimento che non porta ad un risultato riconoscibile sarebbe, semplicemente, stupido, persino per un essere umano.
Dopo il primo allarme dunque e dopo le male parole di analisti del settore e cacciatori di bufale, pare che il panico sia passato a tutti. Qualche rivista è ritornata sull’argomento per spiegare meglio ma la preoccupazione resta.
Nessuna paura nella Silicon Valley
Paolo Attivissimo è stato tra i primissimi a smentire eventuali paure o l’inizio di catastrofi imminenti.
No, non c’è nessuna “paura nella Silicon Valley”, come scrive Il Messaggero (copia su Archive.is) titolando “Due robot iniziano a parlare fra loro in una lingua sconosciuta: sospeso l’esperimento di Facebook”. Huffington Post, invece, titola “Facebook sospende il test per l’Intelligenza Artificiale: “Due bot hanno inventato un proprio linguaggio, incomprensibile all’uomo”” (copia su Archive.is).
La realtà, come spiega divertita la BBC invece di fare terrorismo luddista, è che la notizia, pubblicata inizialmente da Facebook, risale a giugno scorso, quando era passata inosservata (a parte qualche commento di riviste scientifiche divulgative): due chatbot di Facebook avevano dialogato tra loro in modo curioso. Tutto qui.
Tutti ne parlano
Il pronto intervento di Paolo o di altri, però non ha fermato la viralità della notizia. Se ne è parlato un po’ ovunque. Il tema è curioso e i personaggi in campo sono interessanti. Per cui mi pare normale che questo avvenga. La cosa che non mi pare normale è pensare che, siccome tutti ne parlano, sia naturale che i chatbot programmati per avviare una negoziazione, inizino a parlare di noi, dell’essere umano, di come conquistare il Pianeta Terra ed eliminare la razza umana.
Perché insomma, di questo si tratta. I giornali quando parlano di intelligenza artificiale raccontano un film. Parlano di macchine talmente intelligenti che non avranno bisogno di noi e che si libereranno degli esseri umani. Proprio come accade nei film. Ma invece di informare i propri lettori su cosa è accaduto, parlano delle nostre paure.
Fantascienza: letteratura e cinematografia
Perché se è vero che chi studia intelligenza artificiale punta ad una macchina che simuli i calcoli di una mente umana. È vero che il suo sogno sarebbe quello di realizzare una intelligenza da film. Ma è anche vero che chi dovrebbe informare fa leva su un filone della letteratura e della cinematografia che tanto piace a tutti noi. Qui un elenco di libri che hanno accompagnato l’adolescenza di molti.
In Superintelligence: Paths, Dangers, StrategiesBostrom si chiede «cosa succederà quando le macchine sorpasseranno gli umani nell’intelligenza» e se «gli agenti artificiali ci salveranno o ci distruggeranno».
Insomma pare che il tema sia piuttosto caldo anche se, a dire il vero, la ribellione della macchina contro l’essere umano, è un tema classico della fantascienza.
Il topos “creatura che si ribella al suo creatore”
Il capostipite del topos “creatura che si ribella al suo creatore” è senza dubbio il buon vecchio Frankenstein di Mary Shelley che a sua volta ricalca il mito greco di Prometeo. Vedi anche Frankenstein o il moderno Prometeo. Con espansione online.
Nel settembre del 1940, Isaac Asimov pubblicava sulla rivista Super Science Stories, Robbie, I robot dell’albail suo primo racconto di fantascienza, inserendo nella storia i robot positronici. Asimov intendeva reagire a tutte le precedenti storie sui “robot come minaccia”, molto diffuse all’inizio del XX secolo. I suoi robot erano utili e versatili e dovevano aiutare l’umanità. Con l’evoluzione dei robot nei racconti di Asimov, però, le scappatoie escogitate per scavalcare le Tre Leggi diventano sempre più raffinate.
Il cacciatore di androidi è un romanzo di fantascienza scritto da Philip K. Dick nel 1968, da cui è stato tratto il celebre film Blade Runner di Ridley Scott (1982). Il tema più significativo del romanzo è la difficoltà di distinguere gli esseri umani dagli androidi. Nel romanzo gli androidi sono macchine disumane, senzienti ma prive di empatia. Il bello è che alla fine sono gli esseri umani che perdono l’umanità finendo per assomigliare agli androidi.
Nel 1960 Dino Buzzati scrisse Il grande ritratto, un romanzo ambientato in un misterioso centro di ricerche, dove viene realizzata una gigantesca “Macchina Pensante”, un supercomputer inizialmente pensato per scopi militari in grado di riprodurre la coscienza umana.
Tra scienza e fantascienza
A For Andromeda è stato scritto nel 1962 dall’astrofisico Fred Hoyle (inventore del termine “buchi neri”) con la collaborazione dello sceneggiatore John Elliot. La storia è questa: il telescopio di Bouldershaw Fell in Inghilterra capta dallo spazio un segnale criptato proveniente dalla nebulosa di Andromeda. L’astrofisico John Fleming scopre che nel messaggio ci sono le istruzioni per costruire un supercomputer. Dopo averlo realizzato si rendono conto che è stato in realtà ideato per creare una nuova forma di vita. La creatura che viene creata, Andromeda, ha le sembianze di una donna e un’intelligenza superiore. Sarà una minaccia per l’umanità? Da questo libro la Bbc e in seguito anche la Rai trassero uno sceneggiato.
Anche uno dei più celebri film di fantascienza mai realizzati, 2001 – Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, affrontava questo genere di problemi.
Che film hai visto?
E così qualcuno ha rivissuto qualche pezzo di film sparso qua e là. Anche se poco si estrae dai capolavori citati da Giovanni. Ma si prende spunto da filoni meno riflessivi come Terminator o ultra cervellotici come Matrix.
Ed ecco il film.
Due chatbot stanno parlando tra di loro, iniziano a discutere la divisione di oggetti vari. Ad un certo punto, sentendosi osservati, per non farsi capire, inventano un linguaggio segreto. I ricercatori ammirati da questo comportamento imprevisto cercano di interpretare il nuovo linguaggio. Ma niente. Le migliori menti del Pianeta non capiscono questa lingua. Nel frattempo i due chatbot dalla divisione di caramelle, sono passati a dividersi città, provincie (quelle sopravviveranno anche ai robot), regioni e poi Nazioni. Si spartiranno le poltrone, i posti di comando, si spartiranno, insomma, il mondo.
Chatbot alla conquista del Pianeta Terra
Quando avranno raggiunto la divisione di ogni angolo del Pianeta Terra, inizieranno a costruire altri robot. Si impossesseranno delle centrali elettriche e dei reattori nucleari, inizieranno a produrre energia. Allora, solo a questo punto si mobilita l’esercito che cerca in tutto il mondo un professore universitario che capisca questo linguaggio.Ma solo un blogger trascrive le traduzioni di queste chiacchierate. Nessuno era riuscito a trovarlo prima perché l’ultimo aggiornamento di Google ha portato i suoi articoli alla decima pagina. Ma è troppo tardi. In realtà, avevano perso troppo tempo a cercare ingegneri e non umanisti. Ha inizio così una guerra dove l’inerme e stupidissimo essere umano, non avrà le forze sufficienti a contrastare la nuova Robonet.
L’essere umano, l’essere più buono dell’universo, che aveva preservato da sempre la sua Terra, i boschi, le acque, l’aria, i mari e tutte le sue risorse, vedrà il suo mondo scomparire in mano a intelligenze artificiali malvagie. Ed anche guerrafondaie.
Ma per fortuna si tratta di un sogno. Il sogno dello stagista di 50 anni pagato a scontrini, che stava osservando i chatbot che parlavano. Si era addormentato perché il dialogo era troppo stupido. Risvegliato da uno scappellotto del direttore, che ritornava dall’ennesima riunione del Partito, si rende conto di aver visto il Futuro. Così dopo una furibonda lotta contro il direttore, che voleva continuare l’esperimento, e i suoi scagnozzi, con un guizzo ha la meglio. Lo stagista riesce ad uccidere i due chatbot e salva l’umanità da un futuro catastrofico.
Niente di speciale, attenzione. Magari il tuo film è ancora più spaventoso.
I sentimenti
Ma queste sono le fantasie che si prospettano. Quando si parla di fantascienza ad essere colpiti sono i nostri sentimenti. I sentimenti biologicamente umani, come la paura, il desiderio, la voglia di rivalsa, l’odio, il sadismo. Pensare che un chatbot o una intelligenza artificiale abbia la capacità di confabulare, di parlare male degli altri, il desiderio di conquista, di distruggere un’altra razza; di assoggettare, emarginare, bullizzare l’altro, perché diverso; pensare il modo di torturare e far del male ad altri essere viventi; escogitare il modo di annichilire gli altri, ritenendoli inferiori, ebbene tutto questo significa rimandare su uno specchio sentimenti ed emozioni tipicamente umani; e solo umani. Persino i peggiori, neanche i migliori sentimenti.
Le nostre paure
In realtà abbiamo paura di noi stessi. Abbiamo paura di quell’orrore che stiamo vivendo. E di cui non fa certo parte l’intelligenza artificiale.
L’intelligenza artificiale farà in modo che tutto quello che è un calcolo sarà più veloce. Ma l’essere felici per un appuntamento, per una carezza, per la visione di una ragazza o di un ragazzo, non è un calcolo matematico, è chimica, ma non un calcolo.
L’intelligenza artificiale è un obbiettivo ambizioso, peccato che ancora sia molto lontano dalla realtà e (nessuno lo dice) siano stratosfericamente costose. Al momento, le migliori intelligenze artificiali, riescono a batterci a scacchi e a qualche altro giochetto di calcolo.
Chatbot che parlano
In tutto questo si da per scontato che stiamo discutendo di due chatbot che parlano. E la cosa è straordinaria in se stessa. Di questo dovremmo parlare. Essere felici di un risultato scientifico importante. Un evento scientifico unico nella storia della nostra evoluzione.
Parlare di altro, di un futuro che forse non arriverà mai, significa dimenticare le meraviglie tecnologiche che stiamo vivendo. Facciamo uso di dispositivi e di strumenti di una potenza straordinaria che nessuno ha mai posseduto nella storia dell’umanità. Dovremmo semmai preoccuparci di comprendere quello che sta accadendo. Di avere consapevolezza degli strumenti e non paura.
Conclusioni
Giungo alle medesime conclusioni del successivo articolo, perché nascono insieme.
È necessario parlare di questi temi, dialogare con tutti e se non capiamo sforzarci di capire. Ciò che mi fa paura è la viralità della notizia. Viralità che dimostra quanta basso sia il livello di cultura digitale. Sarebbe necessario istruire i nostri studenti ad avere consapevolezza degli strumenti che usano e che usiamo.
Credere ad una notizia come questa significa poter credere che un giorno la nostra auto romperà il cambio perché l’abbiamo tenuta al sole tutto il giorno. E si guasterà proprio il giorno in cui avremo un appuntamento importante. Intenzionalmente. Un modo come un altro per farcela pagare intenzionalmente.
Ebbene, così non è. Ed è necessario che ciascuno di noi faccia la sua parte nella diffusione di cultura digitale. Perché il tema riguarda tutti.
Se vuoi sapere cosa è accaduto davvero
Se sei arrivato fin qui, vuol dire che il tema ti interessa. E allora leggi cosa è accaduto veramente e magari condividi.
Perché i chatbot falliscono senza architettura dell’informazione
I chatbot e l’architettura dell’informazione devono trovare, presto, un punto di contatto, in Italia. All’estero è già così. Senza architettura dell’informazione, infatti, i singoli chatbot, senza una progettazione, sono destinati al fallimento o all’insoddisfazione delle persone.
Lo so che è chiedere troppo. In Italia si ha ancora difficoltà a richiedere la progettazione di un sito web, figurarsi la progettazione di un chatbot. Però bisogna cominciare o quanto meno a dirlo. Altrimenti la voce degli scettici si alzerà sempre più forte.
Oggi, in tanti sono a lavoro nella creazione di chatbot. L’impegno è prettamente ingegneristico per la comprensione della nostra voce, e di sviluppo. Non c’è ancora spazio per la progettazione così come avviene negli Stati Uniti o in Giappone.
Chatbot senza progettazione
Mi giungono da più parti segnalazioni di creazione di chatbot. E devo dire che queste persone hanno tutta la mia stima. Intanto perché i loro tentativi sono elementi di studio e di approfondimento, anche da parte mia. E poi perché nello sviluppo di un chatbot si richiedono delle conoscenze digitali elevate.
Io stesso sto studiando il modo di sviluppare chatbot e fare il passo successivo alla progettazione. Però pensare di svolgere ogni parte del processo da solo non è del tutto ragionevole.
Quando parlo di progettazione e di ricerca che precede la realizzazione del prodotto, intendo anche che il risultato della progettazione potrebbe portare a decidere che non sia necessario creare un chatbot.
Sviluppo vs progettazione
Così come in passato i siti web erano creati da bravi informatici che sviluppavano il sito web, oggi, a creare chatbot e bot sono ancora una volta gli sviluppatori.
Capisco che è frustrante per uno sviluppatore sentirsi dire quello che deve fare “per andare dove deve andare”. Ossia è frustrante farsi indicare la direzione, visto che poi i problemi tecnici per raggiungere determinati obiettivi è tutto sulle sue spalle.
Ma è la frustrazione di tutti i lavori tecnici e artigianali. Ed è per questo che io penso sempre ai miei progetti come il contenitore di una squadra che lavora insieme. Senza una gerarchia ben precisa ma con una immensa stima reciproca e fiducia nelle capacità degli altri.
Non c’è o non ci dovrebbe essere uno sviluppo contro la progettazione. Ma ci dovrebbe essere un lavoro comune per obiettivi comuni.
Perché creare un chatbot?
Chi mi segue da più tempo sa che prima di usare uno strumento o fare qualcosa, io chiedo sempre il perché si vuole usare quello strumento o perché si vuole fare quel qualcosa. Rispondere a questa semplice domanda ci dice già se ne vale la pena o no. Se la nostra risposta non soddisfa neanche noi, perché dovrebbe soddisfare i nostri utenti?
Gli sviluppatori rispondono spesso che i chatbot sono il futuro, che la tua azienda ha bisogno dei chatbot, che il mercato sta iniziando a richiedere chatbot e che devi essere il primo nel tuo campo ad avere un chatbot.
Corsa all’oro?
Si tratta di una vera e propria corsa all’oro. Dove l’oro equivale ad un materiale sconosciuto che non è mai stato usato e di cui non si conoscono ancora i veri vantaggi. E se è vero che essere i primi tecnologicamente significa avere un vantaggio anche economico, non ha senso essere i primi a deludere i propri clienti.
È opportuno dunque iniziare a chiedersi perché i chatbot falliscono.
Quello che stiamo vedendo ora è una corsa all’oro di aziende che cercano di essere i primi nella loro categoria per implementare con successo un bot. In questo processo, vedremo una pletora di bot che stanno risolvendo molti casi d’uso irrilevanti, o che fanno vivere esperienze veramente povere.
Questo, oggi, a mio parere, è totalmente deleterio per i chatbot. Perché quando l’utente resta deluso dal chatbot, disinstalla il bot e difficilmente lo reinstallerà.
Si vedano per esempio alcuni chatbot di giornali che hanno assillato per un po’ i loro lettori. Che scopo hanno avuto? Che utilità per i lettori? Per quanto ne so, hanno fatto accrescere lo scetticismo tra coloro che hanno avuto la curiosità di provarlo. O no?
Un chatbot una funzione
Lo ripeto. Oggi noi siamo ad un bivio. I chatbot in molti casi stanno fallendo. I pochi casi di successo si vedono quando il chatbot rientra all’interno di un sistema ed è uno dei tanti canali usati per distribuire informazione. Lo spiegavo nell’articolo sull’architettura dell’informazione conversazionale. Le aspettative sono altissime e la risposta non è sempre all’altezza di queste aspettative.
Ecco perché è necessaria anche tanta trasparenza. I bot e i chatbot di maggiore successo, sono quelli in cui è chiaro che l’utente sta chiacchierando con la macchina. Questo significa che se la macchina sbaglia, l’utente sarà più indulgente.
Gli assistenti vocali sono una realtà. Ma la loro diffusione è da maneggiare con cura.
Alcune persone sostengono che i chatbots sono i nuovi siti web e che uccideranno il 99% delle applicazioni sul web, prevedono che le interfacce di conversazione sostituiranno presto i modelli di progettazione pixel centrici che abbiamo usato per decenni nel nostro lavoro.
Ma è davvero così?
Perché i chatbots falliscono?
Alla base dell’uso dei chatbot c’è l’automatizzazione dei processi.
Cosa possiamo automatizzare? Le conversazioni uno a uno? A mio parere alcune conversazioni uno a uno funzionano, altre no. Pensare che tutte le conversazioni possano funzionare, significa aver saltato la progettazione e trovarsi già nella fase di sviluppo.
In questo processo, i progettisti hanno un ruolo importante per definire ogni conversazione come una sceneggiatura. E nell’interazione uomo macchina è necessario definire i comportamenti degli utenti. Senza questo tipo di approccio, penso sia difficile trovare una funzione chiara.
Il mito dell’intelligenza artificiale
Anche in questo blog e nei vari canali social ho parlato e segnalato notizie riguardanti l’intelligenza artificiale. L’argomento è correlato, perché più l’intelligenza artificiale sarà alla portata di tutti, più gli assistenti vocali risponderanno al meglio.
L’intelligenza artificiale, quella vera che risolve problemi complessi, esiste, ma non è ancora accessibile. E La stragrande maggioranza dei chatbots non sono in realtà intelligenti. Sono costruiti sulla base di una logica di decisione ad albero, in cui la risposta data dal bot dipende da specifiche parole chiave individuate nell’input dell’utente.
Se l’ingresso dell’utente contiene ‘negozio’ o ‘acquistare’;
Allora inviare un messaggio con la lista dei prodotti
Ciò significa che i tipi di decisione ad albero dei bot, in realtà, non dipendono dal bot stesso, ma dalla intelligenza, pazienza, e accuratezza del progettista / programmatore /sviluppatore che lo ha creato. Tanto più è accurato, tanto più il bot anticipa i potenziali casi d’uso dell’utente.
I Motori di ricerca con capacità di apprendimento dei linguaggi naturali sono ancora abbastanza rari.
Giochiamo con i chatbot
Che si giochi con i chatbot non è qualcosa di negativo. Anzi. Coloro che oggi fanno gli sviluppatori, hanno iniziato la loro formazione da giocatori di videogames. Certo, c’è chi ci giocava e continua a giocarci. Ma grazie all’uso del gioco, qualcuno si appassiona e il gioco diventa lavoro.
Il gioco poi è una cosa seria! Giocando possiamo sbagliare con più facilità, possiamo commettere tanti errori senza la paura di una punizione. E quindi essere maggiormente creativi.
I bot non capiscono il contesto
Le capacità conversazionali degli esseri umani sono qualcosa di estremamente complesso. Ma conversazione è una nostra specializzazione. Una capacità che l’uomo ha affinato nel tempo.
Comprendiamo il sarcasmo, siamo in grado di leggere tra le righe, e lavoriamo sempre utilizzando le informazioni contestuali quando diamo a qualcuno una risposta.
I Chatbots, invece, hanno molta meno affordance dei siti web e delle applicazioni. E dunque le parole devono lavorare di più per fornire maggiore chiarezza, coerenza e utilità per l’utente. Si tratta di un cambiamento di paradigma anche per i progettisti.
Chatbot e architettura dell’informazione, da dove cominciare?
I punti di partenza possono essere diversi. La convergenza però dovrebbe essere sempre e comunque l’utente.
Io personalmente ho cominciato dall’architettura dell’informazione. Dalla progettazione.
Negli Stati Uniti si è cominciato dalla creazione di squadre di lavoro con professionalità diverse tra cui architetti dell’informazione e sviluppatori in primo piano. Ma anche sceneggiatori, speakers radiofonici, attori teatrali, esperti di SEO ed esperti di nicchie di riferimento. Gruppi di lavoro con la capacità, la possibilità e la volontà di sbagliare.
Poi c’è tanto studio e tanta pratica da fare, ma questo mi pare ovvio. E magari cominciare a pensare a questo blog come il punto di incontro di queste squadre. Chissà!
Tools e metodi UX per chatbot
Alcuni strumenti, metodi e processi comuni che gli UX designer utilizzano durante il processo di progettazione del prodotto digitale e che personalmente uso e condivido per la progettazione di chatbot e interfacce conversazionali.https://rcm-eu.amazon-adsystem.com/e/cm?o=29&p=13&l=ez&f=ifr&linkID=d9dc01f123f1292f724d5747b5262fe8&t=architettdell-21&tracking_id=architettdell-21
Consumer Journey Map
Un diagramma che esplora i molteplici passaggi (a volte invisibili) intrapresi dai consumatori mentre interagiscono con un servizio. Consente ai designer di inquadrare le motivazioni e le esigenze del consumatore in ogni fase del viaggio, creando soluzioni di design appropriate per ciascuno.
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Personas
Un’istantanea riconoscibile del pubblico di destinazione che mette in evidenza dati demografici, comportamenti, bisogni e motivazioni attraverso la creazione di un personaggio immaginario. Le persone rendono più facile per i designer e i team digitali creare empatia con i consumatori durante tutto il processo di progettazione.
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Ecosystem Map
Una visualizzazione delle proprietà digitali dell’azienda, delle connessioni tra di esse e del loro scopo nella strategia di marketing complessiva. Fornisce informazioni su come sfruttare le risorse nuove ed esistenti per raggiungere gli obiettivi di business del marchio.
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Value Proposition
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Storyboards
Un fumetto che illustra la serie di azioni che i consumatori compiono durante l’utilizzo del prodotto. Traduce le funzionalità in situazioni di vita reale, aiutando i designer a creare empatia con il consumatore mentre danno una prima occhiata all’ambito del prodotto.https://rcm-eu.amazon-adsystem.com/e/cm?o=29&p=26&l=ur1&category=prime_video&banner=145YC6XKJN2WZ21YRD82&f=ifr&linkID=9a53d5b22e32ac7931c209e719061339&t=architettdell-21&tracking_id=architettdell-21
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User Flow
Una rappresentazione visiva del flusso dell’utente per completare le attività all’interno del prodotto. È la prospettiva dell’utente dell’organizzazione del sito, che rende più facile identificare quali passaggi potrebbero essere migliorati o riprogettati.
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Tassonomie
Un’esplorazione di diversi modi per classificare contenuti e dati: argomenti in un sito di notizie, categorie di prodotti in un e-commerce, ecc. Aiuta i progettisti a definire la struttura dei contenuti per supportare gli obiettivi dell’utente e dell’organizzazione.
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Card Sorting
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I chatbot non piacciono (solo) agli italiani?
Sulla piattaforma Trustpilot , un sito dedicato alle recensioni di prodotti, aziende ed esperienze, è stato condotto un sondaggio su consumatori e chatbot. Pare che i chatbot non piacciono agli italiani. Almeno la metà non si fida. Gli italiani preferiscono l’assistenza di un operatore reale.
Il sondaggio aggiunge che il 13,9% degli intervistati, addirittura, hanno talmente paura che, dove viene utilizzato un chatbot, non effettua neppure acquisti.
La notizia è stata ripresa da testate di settore autorevoli. E sottolineano
Secondo Trustpilot la motivazione più profonda di questa mancanza di fiducia si deve a “quell’atavica paura che le macchine possano sostituire il lavoro umano”. Il 50% degli intervistati infatti ha ammesso di sentirsi minacciato “dell’idea che i chatbot possano rimpiazzare totalmente l’assistenza clienti fisica”.
Ma si tratta di una resistenza tutta italiana, oppure è condivisa anche in altre parti del mondo?
Cosa accade altrove?
Diversi studi affermano che, negli Stati Uniti, nei prossimi anni, ci sarà uno sviluppo dei chatbot e delle aziende che ne faranno uso. Infatti, le aziende potranno automatizzare molti dei loro servizi.
E questo accade in parallelo all’aumento delle persone che utilizzano programmi di messaggistica istantanea.
Sondaggi d’oltreoceano
Un sondaggio condotto da Spiceworks ha mostrato che
il 40% delle grandi aziende che impiegano più di 500 persone hanno in programma di implementare uno o più assistenti intelligenti o chatbot basati su AI su dispositivi mobili aziendali nel 2019.
Secondo Drift
- Il 27% dei clienti adulti negli Stati Uniti è pronto ad acquistare beni di base tramite un chatbot.
- il 13% degli adulti negli Stati Uniti ha acquistato almeno una volta oggetti costosi utilizzando i chatbot.
Adobe
- Il 28% delle aziende leader utilizza l’IA per il marketing.
- il 31% prevede di utilizzare l’IA nei prossimi mesi.
Opus Research
- Entro il 2021, 4,5 miliardi di dollari saranno investiti in chatbot.
Edison
- Il 16% degli americani possiede altoparlanti intelligenti come Amazon Alexa o Google Home.
Studio condotto da Convince e Convert
- Il 15% dei consumatori statunitensi ritiene che nulla possa impedire loro di utilizzare il chatbot.
Secondo il sondaggio usabilla
- Il 46% degli utenti di Internet negli Stati Uniti preferirebbe ricevere supporto online da una persona dal vivo, anche se il chatbot può fargli risparmiare tempo.
Sondaggio UJET
- Il 58% degli intervistati ritiene che i chatbot non siano stati efficaci come previsto.
Nel commercio al dettaglio, la maggior parte dei consumatori ama essere autosufficiente nel processo decisionale e non ha necessariamente bisogno di contattare chatbot o responsabili del servizio clienti.
Le difficoltà incontrate dagli utenti di chatbot nel 2018
Chatbot lontani dalla perfezione
Anche nel 2019, la tecnologia chatbot è ancora lontana dall’essere perfetta.
Secondo Spiceworks
- Il 59% degli intervistati ha indicato che i chatbot spesso hanno frainteso le sfumature della comunicazione umana.
- Il 30% ha riferito che i chatbot eseguivano comandi in modo impreciso.
- Il 29% riferiva difficoltà nella comprensione degli accenti.
- Il 23% delle organizzazioni intervistate ha riscontrato che gli assistenti intelligenti non sono in grado di distinguere la voce del “proprietario”, il che può essere un problema in contesti lavorativi.
Altri problemi
- Il 50% degli uomini d’affari intervistati ha dichiarato di non aver implementato i chatbot a causa della mancanza di opzioni di utilizzo.
- Il 29% ha fatto riferimento a problemi di sicurezza e privacy
- Il 25% ha dichiarato che l’alto costo dei chatbot e degli assistenti di intelligenza artificiale intellettuale li impedisce l’implementazione iniziale.
- Il 19% delle organizzazioni che non utilizzano i chatbot teme che questa tecnologia possa distrarre i dipendenti e compromettere la produttività degli utenti.
Questione di abitudine
Questi dati possono sembrare allarmanti. Sia i consumatori che le aziende avranno bisogno di più tempo per abituarsi e accettare questo tipo di servizio clienti.
Secondo CGS (Computer Generated Solutions)
- Il 60% degli utenti di Internet, negli Stati Uniti, dai 35 ai 44 anni, ritiene che le aziende stiano correndo troppo nell’implementazione dei servizi a base chatbot.
- Questa opinione è stata condivisa da un numero minore di consumatori più giovani e più anziani, ma ancora un terzo della fascia di età 18-24 anni
- Il 42% della fascia di età 55-64 anni sono preoccupati che l’implementazione dei chatbot potrebbe rendere difficile mettersi in contatto con veri gestori del servizio clienti.
Studio Humley
- Il 43% degli intervistati ha dichiarato di voler risolvere eventuali problemi parlando con una persona.
- Ciò conferma la tendenza dell’anno scorso. E cioè che le persone preferiscono ancora telefonare e parlare con qualcuno.
Resistenza tutta italiana?
Se avete avuto il coraggio di seguirmi fino a questo punto, nonostante la densità di numeri e sondaggi, vi è chiaro che le resistenze non sono solo italiane.
Quello che mi salta all’occhio però è il modo di presentare questi stessi dati. Cioè i giornali d’oltreoceano, insistono molto sulle prospettive e sulle tendenze che invece sono positive.
Se è vero infatt che il 50 percento delle persone, nel mondo, nel mondo di coloro che hanno o avrebbero la possibilità di fare uso di chatbot preferisce parlare con le persone, è anche vero che la percentuale di persone che ha in casa un assistente vocale, o fa uso della domotica è sempre in aumento.
Così come aumentano le persone che scrivono e comunicano con le aziende.
Consumatori e chatbot
I chatbot rimarranno tra le tendenze chiave nello sviluppo della comunicazione personale e aziendale ancora per qualche anno. Sia che questi migliorino, sia che falliscano miseramente.
Un pensiero condiviso però è che vivendo in un’economia di gratificazione istantanea, la voglia e il desiderio che i chatbot riescano è tanto.
Le persone sono ormai abituati a vivere esperienze personalizzate e istantanee da parte dei giganti come Amazon, Google, Netflix ed altri.
Amazon, per esempio, continua a sfornare prodotti con Alexa. Questo significa che qualcuno acquista questi dispositivi. O lo farebbe solo per hobby?
Il futuro distopico, ancora lontanissimo, rappresentato dai nostri giornali nazionali dunque, fa meno paura di quanto pensano.
Consapevolezza sempre
Chi mi segue da tempo sa bene che la mia visione è molto laica. Il mio è un blog indipendente. Non riceve regali da queste aziende e il mio Amazon Echo l’ho acquisto regolarmente. Come altri analisti di settore.
Per cui mi sento libero di esprimere la mia opinione.
Sono convinto che a salvarci dalla tecnologia sia la consapevolezza.
Non saranno la paura, né il fatalismo, né i facili entusiasmi, a farci comprendere al meglio questo mondo sempre più complesso e complicato.
La mia conclusione è che invece di allarmare, dovremmo sbracciarci e studiare insieme. Qualcuno si è fatto avanti. E questo mi fa molto piacere.
Mi sembra inutile fare la guerra ad un futuro che è già presente.
Perché avresti bisogno di un chatbot, se ne avessi (davvero) bisogno
In molti hanno scritto che i chatbots sarebbero stati la prossima frontiera del marketing e delle relazioni sociali con i clienti. Proprio ad inizio anno (2017) si diceva che questo sarebbe stato l’anno dei chatbot; che le aziende non ne avrebbero fatto più a meno; e che avrebbero cambiato il modo di fare business. Insomma, parrebbe che i chatbot abbiamo la soluzione per tutti i marketers.
Qualcosa è accaduto, ma non proprio tutto quello che si prevedeva. E non certo con la dirompenza annunciata. A mio parere c’è ancora poca cultura digitale, e i campi di applicazione non sono così vasti, come in molti vogliono far credere.
Mancano ancora dei tasselli. La progettazione è poca o nulla a tutto vantaggio dello sviluppo, per esempio. E ancora tante promesse sono disattese. Per esempio.
Se continuiamo a sentir parlare di chatbot è solo perché c’è un mercato del lavoro che richiede dipendenti disponibili 24 ore su 24, 7 giorni su 7, che non discute con il capo e non ha lamentele o richieste da rivendicare. Ma non solo. Una fetta di consumatori, sempre più larga, richiede più attenzione nel momento esatto che ne ha bisogno. “Attendere, prego” non è più tra le risposte ammissibili.
Se avessi (davvero) bisogno di un chatbot
Perché avresti bisogno di un chatbot?
Secondo l’Accenture Technology Vision 2017 l’intelligenza artificiale è destinata a diventare un vero e proprio portavoce digitale delle aziende, diventando così la nuova user interface (UI). Il 79% degli executive intervistati nello studio concorda nel prevedere che il machine learning rivoluzionerà le modalità di raccolta dei dati e di interazione delle aziende con i clienti.
Questa estate, a tal proposito, è stata pubblicata un’infografica dei chatbots entusiasti che spiegano il perché dovrebbe interessarci avere un chabot. I dati e le interviste sono riferite al mercato degli Stati Uniti. Il che significa che hanno poco significato per noi italiani. Forse, l’unico segnale che possiamo raccogliere è la possibilità di iniziare ad attrezzarci.
Chatbot e intelligenza artificiale
Qualche chiarimento è necessario. Perché tutti gli articoli che si leggono sul tema mischiano chatbot e intelligenza artificiale. Questo farebbe credere che un software riesce a parlare, grazie all’intelligenza artificiale, in modo del tutto naturale. Così non è. La stragrande maggioranza dei chatbots, con cui abbiamo e avremo il piacere di dialogare non contengono in se alcuna intelligenza artificiale. Ma rispondono a determinati comandi e/o parole. Diciamo che molti chatbots hanno l’intelligenza di un telecomando e un televisore. Se premi 1 trasmette il primo canale. E così via.
Non tutti. Qualcuno ha parti di intelligenza artificiale, ma non sono certo la maggioranza.
Anch’io sono abbastanza fiducioso nello sviluppo dell’intelligenza artificiale. Ma bisogna restare con i piedi per terra quando raccontiamo di cose che avvengono ora e sono facilmente verificabili. Per cui vediamo cosa accade davvero e leggiamo i dati in modo laico.
Perché avresti bisogno di un chatbot?
Oltre 2,5 miliardi di persone hanno almeno un’applicazione di messaggistica
Le persone utilizzano le applicazioni di messaggistica in modo massiccio. Tendenza che non diminuisce. Anzi. Secondo The Economist, questo numero è destinato a crescere nei prossimi 2 anni, arrivando a 3,6 miliardi.
Anche Facebook è in continua crescita. Il social network blu è un po’ in carenza di contenuti. Ma l’età degli utenti sta crescendo. Il tempo di permanenza all’interno della piattaforma è sempre alto. E non si possono trascurare i numeri degli utenti che hanno tra i 18 e 34 anni. Secondo Andrew Lipsman, Vice Presidente del Marketing e Insights di ComScore, ce ne sono ancora tanti.
In un’intervista al New York Times afferma:
Si sente dire che i giovani stanno fuggendo da Facebook. I dati mostrano che non è vero. Gli utenti più giovani hanno un appetito più ampio per i social media e spendono molto tempo su più reti. Ma spendono più tempo su Facebook con un ampio margine.
60 miliardi di messaggi al giorno su Whatsapp e Facebook Messenger
Ogni giorno, i 2,5 miliardi di persone che dispongono di un’applicazione di messaggistica inviano 60 miliardi di messaggi. Un numero che potrebbe pure crescere. Dall’osservazione dei dati tra il 2011 e il 2015 pare che la gente stia abbandonando i siti web e si sposti proprio sulle applicazioni di messaggistica.
Tra chi usa gli smartphone, il 49% non scarica nuove applicazioni. E questo smentisce quanti invitano a sviluppare una applicazione per il proprio e-commerce o per la propria impresa. Secondo Comscore,
nel giugno del 2016, quasi la metà di tutti gli utenti mobili non ha scaricato alcuna applicazione, il 13% ha scaricato una applicazione e l’11% ha scaricato due applicazioni. Sembra che la maggior parte degli utenti sia contenta di utilizzare le applicazioni attualmente disponibili (incluse le applicazioni di messaggistica esistenti).
Messaggi e servizio clienti
I consumatori americani dicono che il messaggio sia il loro canale preferito per il servizio clienti. E questa è una abitudine che si sta diffondendo in tutto il mondo. 9 utenti su 10, globalmente, dicono di voler inviare messaggi ai propri brand di riferimento.
Twilio ha scoperto che questo dato è particolarmente vero tra gli utenti più giovani. Millenials e Gen X’ers hanno dichiarato di preferire l’invio di messaggi tramite e-mail, telefonia e chat web.
A quanto pare i Millenials
non vogliono chiamare il numero fisso e passare attraverso un lungo menu di scelte, non controllano la loro posta elettronica ogni ora o addirittura ogni giorno e sono abituati a ricevere notifiche di messaggi.
In gran parte, i consumatori vogliono che le imprese si impegnino in una conversazione bidirezionale tramite messaggistica. Sempre secondo Twilio, vogliono ricevere conferme d’ordine e promemoria agli appuntamenti fissati, sapere a che punto è la consegna di un prodotto. Di contro darebbero feedback sul prodotto.
Ma parliamo sempre di commenti, chat e messaggi, di comunicazioni veloci e di servizio. Ma quando invece si vuole un supporto? I canali che si preferiscono sono altri. E ritornano ad essere quelli tradizionali.
Previsioni per il 2020
Si stima che, entro il 2020, quasi un terzo di tutta la navigazione web sarà effettuato da chatbots. A dirlo non poteva che essere David Marcus, capo di Facebook Messenger. Entro il 2020, pare che l’85% delle interazioni con i clienti non richiederà l’uomo. In uno studio del Gartner si ritiene che sia arrivato il momento in cui la maggior parte delle interazioni commerciali avverrà attraverso chatbots.
Conclusioni sul perché avresti bisogno di un chatbot
A conclusione di questi perché, la maggior parte degli articoli che ho letto, e qui riproposto, indicano la necessità per le aziende di avere un proprio chatbot. Se i tuoi clienti stanno tutto il giorno su Whatsapp, su Messenger, o su qualunque altra applicazione di messaggistica, anche tu dovresti stare li.
Ragionamento che è vero solo in parte. O meglio, questo ragionamento non dice come stare in mezzo ai clienti. E se ci stai male o ti presenti male, stare in mezzo ai clienti potrebbe solo danneggiarti.
Io leggo questi dati in maniera un po’ diversa. Nel senso che, se è vero che bisogna essere presenti dove si trovano i clienti, è anche vero che queste persone su Whatsapp richiedono umanità.
I dati ci dicono che la gente è affamata di relazioni; vuole scriversi; vuole raccontarsi, vuole condividere intimità, con determinate persone o con determinati gruppi. Le persone vogliono dire buongiorno, buon pranzo e buonanotte tutti i giorni, tre volte al giorno, tutto l’anno, ogni anno, a tutti i propri contatti.
Le persone vogliono parlare con altre persone. Spesso parlano anche di acquisti. Spesso si chiede un parere su un determinato prodotto al cugino o all’amico smanettone. Ma appunto lo chiede all’amico o al cugino. Non so quale desiderio abbia di chiederlo ad un bot.
Sulle app di messaggistica si parla e si sparla. Ci si conosce meglio, o si conosce il peggio. Ci si trasmettono emozioni, rabbie, foto e ricordi.
Questo non significa che i chatbots non saranno utilizzati nel prossimo futuro immediato. A mio parere significa che avranno un loro spazio ben definito e non dirompente. I chatbots e le assistenze vocali come spiegato quando parlavo dei settori che saranno trasformati saranno utilizzati per compiti basilari che lasceranno spazio all’umanità.
Purtroppo forze più grandi di noi spingono verso la mortificazione di questa umanità. E tanto più si chiede alle persone di essere delle macchine tanto più saremo sostituibili da queste.
Siamo solo all’inizio
Per molti versi, siamo appena all’inizio di questo nuovo percorso. C’è ancora tanto da fare nello sviluppo vero e proprio, altrettanto nella progettazione dell’user experience di questi bot. Lo avevo già detto e lo confermo ancora oggi. I chatbot falliscono. Sarebbe inutile nasconderlo. C’è ancora tanto lavoro culturale e digitale. È necessario abbattere le paure che ci sono nei confronti di questa tecnologia, perché si tratta di capire la paura che abbiamo di noi stessi. E prendere coscienza di cosa dicono davvero questi chatbot che parlano.
Ancora una volta, prima di essere usati, e avendo la possibilità di usare questi strumenti, l’unica difesa che abbiamo è la consapevolezza. Io sto facendo la mia parte. Almeno credo. Magari tu puoi fare la tua, condividendo questo articolo.
Il chatbot giusto per la tua attività
Sai cos’è un chatbot per il business? Ho già dato spiegazioni semplici su cosa sia un chatbot. Ma se ti trovi a leggere questo articolo sei in una fase più avanzata.
Se ne parla in azienda? Tu stesso sei interessato ad aggiungere il chatbot nella strategia aziendale? Ma quale tipo di chatbot è adatto per tua attività?
Alimentati dall’apprendimento automatico, questi agenti conversazionali possono semplificare i processi e migliorare il servizio clienti.
Ma come funzionano e come possono scegliere le aziende?
La spesa per i chatbot è in aumento
Si prevede che il mercato dei chatbot per il business e di chi crea conversazioni, guidati dall’apprendimento automatico, vedrà una crescita di oltre $ 1 miliardo quest’anno e il 50% delle aziende probabilmente spenderà di più per la creazione di chatbot rispetto allo sviluppo mobile nel 2021.
Ma cos’è esattamente un chatbot? Come funzionano, quali tipi di chatbot esistono e in che modo le aziende possono implementare efficacemente queste soluzioni?
Ancora più importante, quale tipo di bot è più adatto alle esigenze della tua azienda?
Ecco cosa devi sapere riguardo ai chatbot.
Che cos’è un chatbot?
Un chatbot, come abbiamo già detto, è un programma che simula la conversazione; un’applicazione software progettata per interagire con le persone imitando gli esseri umani, fornendo un servizio, rispondendo a domande o indicando la fase successiva di un processo.
Sono anche chiamati “agenti conversazionali” perché di solito sono progettati per simulare una conversazione scritta o parlata e guidare il cliente verso una soluzione o una risposta a un problema.
I chatbot per il business sono spesso utilizzati come primo punto di contatto per i clienti.
Sebbene ci siano ancora forti limiti nel simulare una conversazione vera e propria i chatbot forniscono alle aziende un modo per ridurre i costi del call center o del servizio clienti, scaricando le domande a cui è facile rispondere a processi automatizzati.
Come funzionano i chatbot?
I chatbot, in genere, comprendono due parti: una piattaforma di comprensione del linguaggio naturale (NLU) per analizzare le richieste dei clienti e un servizio di connessione (API) per il collegamento con i principali sistemi esterni.
L’apprendimento automatico è il cuore dei chatbot.
In base agli input, alle informazioni che le persone inviano scrivendo o parlando, il chatbot riesce a “comprendere” quello che vogliono le persone. O meglio, grazie ad una serie di algoritmi, interpreta ciò che le persone cercando di dire o di fare.
In pratica il chatbot ha diverse regole e procedure decisionali che possono indovinare cosa vuole fare l’essere umano e fornire una soluzione per realizzarlo.
Alcuni chatbot possono apprendere il linguaggio, nel tempo, attraverso l’esposizione ripetuta alle interazioni umane.
I tipi più comuni di apprendimento sono supervisionati e non supervisionati.
- gli algoritmi supervisionati insegnano ai chatbot attraverso esempi forniti
- mentre i framework ML non supervisionati consentono ai bot di apprendere attraverso l’osservazione in situ.
I chatbot stanno anche migliorando la comprensione delle emozioni umane utilizzando l’elaborazione del linguaggio naturale. Dotato di algoritmi avanzati di PNL, i chatbot possono fornire una risposta in modo naturale e possono anche ‘sentire’ sottili variazioni nel tono della voce o nel modo in cui è scritta la richiesta.
Quali sono i tipi di chatbot per il business?
I chatbot si dividono in tre grandi categorie:
- Olistico: questi bot gestiscono l’intera interazione, dall’inizio alla fine, senza la possibilità per i clienti di connettersi direttamente con un agente. I servizi che richiedono l’aiuto umano saranno indirizzati a metodi di contatto alternativi. I robot olistici offrono risposte di livello base a domande comuni.
- Hand off: questo tipo di chatbot prende l’iniziativa e quindi offre di connettere i clienti con un agente una volta raggiunta la fine delle sue capacità. La sfida? Ciò può comportare tempi di attesa significativi se gli agenti sono occupati.
- Ibrido: le soluzioni ibride utilizzano i chatbot in anticipo, con agenti che monitorano la conversazione su richiesta. Quando è necessario l’aiuto umano, gli agenti vengono avvisati e viene fornita una cronologia dell’interazione per guidare la discussione in corso.
In pratica, oggi giorno i chatbot sono abbastanza comuni in alcuni processi di vendita in cui il cliente ha bisogno di consigli o indicazioni. Sono molto comuni nei service desk o nei centri di interazione con i clienti perché possono filtrare un gran numero di richieste senza coinvolgimento umano e quindi passare la richiesta a persone con esperienza e ben informate quando necessario.
Quali sono le migliori soluzioni software per chatbot?
I chatbot sono sempre pronti, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, 365 giorni all’anno, per aiutare le persone su qualsiasi dispositivo o piattaforma, ovunque e in qualsiasi momento.
Di conseguenza, l’implementazione basata su cloud è la soluzione preferita per la maggior parte delle organizzazioni.
La migliore soluzione software per chatbot dipende dal caso d’uso e dalle esigenze aziendali.
Ci sono servizi freemium o startup che creano bot su piattaforme NLU come quelle offerte da Google, IBM, Amazon e Microsoft.
Un corso di progettazione chatbot
Il futuro del servizio clienti è conversazionale.
Le aziende che approfitteranno di questa tecnologia si potranno permettere di ridurre i costi, aumentare la soddisfazione delle persone e gettare le basi per l’automazione continua.
Ma perché un corso di progettazione, se da un lato le big tech offrono il servizio in cloud e aziende specializzate offrono le APi di connessioni?
Semplicemente per capire al meglio se la tua azienda è pronta alla gestione di un chatbot e non doverti ritrovare con un servizio che non puoi gestire o che diventa troppo complesso da gestire.
Il corso di progettazione chatbot ti permette di avere un quadro completo sulla complessità e di procedere per passi consapevoli. Chi si vuole mettere in gioco con questa tecnologia deve conoscere i vantaggi certamente, ma anche i rischi e i pericoli, o i punti dell’azienda che vanno rafforzati.
La progettazione limita i rischi di un fallimento ed evita, spese supplementari a cui ricorrere solo perché ci si è fiondati sugli strumenti e non si è pensato, prima, a tutto il lavoro da fare.
Chatbot e assistenti vocali a lavoro
da Toni Fontana | Lug 23, 2018
Come sono utilizzati Chatbot e assistenti intelligenti a lavoro?
Ad inizio anno è stata condotta un’interessante ricerca dove emergono alcuni elementi interessanti che vi riporto.
Infatti, sebbene nel mondo consumer, tra domotica e dispositivi mobile l’assistenza vocale è abbastanza diffusa, in ambito aziendale questa tecnologia tarda a sfondare.
Chatbot e assistenti vocali non sono una novità
I chatbot o gli assistenti vocali a lavoro non sono affatto una cosa nuova. Già nel 1965/1966 vide la luce i primo programma di elaborazione del linguaggio naturale. Si chiamava ELIZA, svolgeva la funzione di psicologo digitale, ed era in grado di “ascoltarti” e rispondere. Anche se in modo, a volte, vago.
Oggi l’assistenza vocale, lo abbiamo visto anche su questo blog, in questi anni, ha fatto molta strada e nei nostri dispositivi sono presenti assistenti vocali molto potenti come Siri della Apple o Google Assistant.
Chatbot e assistenti vocali a lavoro
Ma sul mondo del lavoro a che punto sono questi assistenti vocali? Come vengono utilizzati in azienda? Quali sfide stanno raccogliendo, se le stanno raccogliendo?
Dalle interviste a 500 professionisti IT in organizzazioni in tutto il Nord America e in Europa è emerso che nelle aziende con più di 500 dipendenti.
- Il 40% delle grandi aziende prevede di implementare i chatbots o gli assistenti intelligenti entro il 2019.
- Il 29% delle organizzazioni ha implementato uno o più chatbot per le attività lavorative. O comunque prevede di implementarli nei prossimi 12 mesi.
- Il 24% delle grandi aziende con più di 500 dipendenti ha già implementato uno o più chatbot o assistente intelligente AI sui dispositivi aziendali e un ulteriore piano del 16% per adottarli nei prossimi 12 mesi.
Tra le piccole e medie imprese, circa il 15% delle organizzazioni ha implementato uno o più chatbot o un assistente intelligente di IA su dispositivi di proprietà aziendale, e un ulteriore 10% pianifica di farlo nei prossimi 12 mesi.
Microsoft Cortana
Microsoft Cortana è l’assistente intelligente più utilizzato sul posto di lavoro.
In tutte le dimensioni aziendali, Microsoft Cortana è l’assistente intelligente più popolare sul posto di lavoro negli Stati Uniti.
Questi i dati. Tra le organizzazioni che hanno implementato assistenti intelligenti o chatbots AI per attività lavorative,
- il 49% utilizza Microsoft Cortana, che è integrato in Windows 10 e
- il 47% utilizza Apple Siri, che è integrato in iOS e macOS. Inoltre,
- il 23% delle organizzazioni ha implementato l’Assistente Google, disponibile su vari sistemi operativi e precedentemente noto come Google Now.
Amazon Alexa, sembra avere più utilizzo tra i consumatori … almeno per ora. Tra le aziende che attualmente utilizzano i chatbots o gli assistenti AI,
- solo il 13% utilizza Amazon Alexa. Tuttavia,
- un ulteriore 15% delle organizzazioni prevede di implementarlo nei prossimi 12 mesi,
- quindi i livelli di adozione potrebbero raggiungere quelli di Google Assistant nel prossimo anno.
I sistemi operativi non sono gli unici software integrati con i chatbots o gli assistenti AI. Secondo i dati,
- il 14% delle organizzazioni utilizza i chatbots AI integrati in strumenti di collaborazione, come Microsoft Teams e Slack.
- un altro 16% delle organizzazioni prevede di utilizzare i chatbots integrati negli strumenti di collaborazione nei prossimi 12 mesi.
Ma nonostantei rumors delle aziende che creano i propri chatbot AI personalizzati, al momento
- solo il 2% delle organizzazioni lo ha fatto.
- il 10% delle organizzazioni ha dichiarato di voler implementare un chatbot AI personalizzato nei prossimi 12 mesi.
Come sono utilizzati sul posto di lavoro?
Tra le aziende che attualmente utilizzano assistenti intelligenti.
- 46 percento le utilizza per dettatura vocale.
- il 26 percento le utilizza per supportare le attività di collaborazione del team.
- 24 percento le utilizza per la gestione del calendario dei dipendenti. 14per cento delle aziende stanno utilizzando a scopo di assistenza ai clienti.
- il 13 percento li sta utilizzando per assistere le attività di gestione dell’help desk IT.
Tra le Società di organizzazioni che utilizzano i chatbot o gli assistenti intelligenti risulta che
- il 53% li sta utilizzando all’interno del proprio dipartimento IT. Probabilmente perché i professionisti IT sono i primi ad adottare e testare le tecnologie da distribuirle agli utenti finali.
- il 23% delle organizzazioni li sta utilizzando nel proprio dipartimento amministrativo.
- il 20% li utilizza nel proprio servizio clienti.
- il 16% utilizza i chatbot o gli assistenti intelligenti AI nei propri reparti vendite e marketing.
Spazi di miglioramento
Le aziende che utilizzano i chatbot o assistenti intelligenti di AI si rendono conto che ci sono ampi spazi di miglioramento.
- il 59 percento ha affermato che le tecnologie hanno frainteso le sfumature del dialogo umano.
- il 30 percento ha riferito di aver eseguito comandi imprecisi.
- l 29 percento ha segnalato difficoltà nel comprendere gli accenti.
- il 23% delle organizzazioni ha scoperto che gli assistenti intelligenti non sono in grado di distinguere la voce del “proprietario” da altri, il che può essere un problema in un ambiente di lavoro affollato.
E poi ci sono le aziende che si tengono a distanza da questa tecnologia.
- il 50 per cento ha dichiarato di non usare queste tecnologia per mancanza di evidenze in altre aziende.
- il 29 per cento cita preoccupazioni relative alla sicurezza e alla privacy.
- il 25 per cento ha dichiarato che il costo dei chatbot / assistenti intelligenti di Intelligenza Artificiale è alto rispetto alle loro disponibilità.
- il 19 percento delle organizzazioni che non li usano sono preoccupati per questa tecnologia che distrae i dipendenti a scapito della produttività degli utenti.
L’automazione
La maggior parte dei professionisti IT ritiene che chatbot e assistenti vocali a lavoro miglioreranno la vita di molte persone. L’intelligenza artificiale aiuterà ad automatizzare le attività più banali.
E certo è abbastanza comune ormai trovare articoli o interviste che spiegano di come l’intelligenza artificiale si occuperà di molte attività al posto degli esseri umani. Ma da questo punto di vista i professionisti IT che hanno partecipato al sondaggio sono risultati indifferenti.
Il 40% dei professionisti IT ha affermato che l’intelligenza artificiale può sostituire i lavori di base che non richiedono creatività umana. Tra questi le persone si sentono relativamente sicuri quando si tratta del proprio lavoro. E forse questo dipende appunto dal loro tipo di lavoro che richiede abilità complesse.
Solo il 17% dei professionisti IT crede che l’intelligenza artificiale metterà a rischio il proprio lavoro.
Forza positiva
Ad ogni modo alla domanda diretta se ritiene l”intelligenza artificiale una forza positiva o negativa, la maggioranza degli intervistati hanno risposto che si tratta di una forza positiva:
- il 76% dei professionisti IT ritiene che l’automazione automatizzerà attività banali, consentendo più tempo per concentrarsi su iniziative IT strategiche.
- In media, i professionisti IT credono che il 19% delle loro attività quotidiane correnti possa essere automatizzato tramite automazione intelligente.
Chatbot aziendali
Forse una macchina può sostituire un operaio che svolge attività ripetitive tutto il giorno, e un’auto a guida autonoma potrebbe persino sostituire un tassista.
Ma siamo lontani dal umanità.
Ed in ogni caso, la maggioranza delle aziende non si potrebbe permettere un robot del genere. E quindi si tratta ancora di una tecnologia antieconomica.
Mancano ancora le competenze diffuse, mancano le risorse necessarie. Figurarsi che solo il tre per cento delle aziende ha una politica in atto su come utilizzare gli assistenti intelligenti, chatbot o altre forme di intelligenza artificiale, e solo l’1 per cento delle organizzazioni offre formazione dei dipendenti su come utilizzare l’intelligenza artificiale sul posto di lavoro.
E questo ci dice anche quante aziende credano in questo futuro.
Quali investimenti su chatbot e assistenza vocale a lavoro?
I risultati, poi si concludono mostrando che circa un quarto delle organizzazioni prevede di investire nella tecnologia AI nel 2018. E di questi.
- il 18% delle organizzazioni prevede di spendere $ 10.000 o meno per la tecnologia AI nel 2018,
- il 7% intende spendere più di $ 10.000.
Le cifre sono leggermente più alte tra le grandi imprese,
- il 10% prevede di spendere più di $ 10.000.
Ma ovviamente questo non significa che non investiranno in tecnologia. Molto probabilmente i loro investimenti vanno soprattutto verso le tecnologie esistenti in cui assistenti vocali e chatbot possono essere già integrati.
Molta intelligenza artificiale infatti viene utilizzata già per l’elaborazione dei dati e gestione di automatismi semplici.
La tendenza
L’adozione di chatbot e assistenti vocali a lavoro è in aumento nel mondo. Ma non ci sono ancora evidenze di sistemi completamente autonomi. Ossia, la macchina ha bisogno ancora, in certa misura e per determinati compiti, di un supervisore umano.
Che la macchina sia completamente autonoma è qualcosa che vedremo nei prossimi anni. Ma molti professionisti ritengono che ci vorrà ancora un po’ di tempo.
Il blog sarà qui a sentire per voi!
Metodologia di sondaggio.
Il sondaggio da cui sono stati estratti le percentuali che riporto in questo articolo è stato condotto da Spiceworks nel marzo 2018 e ha coinvolto 529 intervistati dal Nord America e dall’Europa. I professionisti IT sono stati scelti tra milioni di professionisti ma si sono scelti anche in base alle dimensioni aziendali. Per cui si sono presi professionisti anche di piccole e medie imprese. I settori di provenienza sono anche vari, assistenza sanitaria, organizzazioni non profit, istruzione, governo e finanza.
Argomenti in fase di aggiornamento sul blog
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Corso di progettazione chatbot e interfacce conversazionali
Oggi parlo del corso di progettazione chatbot e interfacce vocali che tengo per UXUniversity.
Il corso che propongo riassume, in due mezze giornate, i pilastri necessari per la progettazione e la realizzazione (poi) di un chatbot o di una interfaccia conversazionale. Non parlo e non si parla di codice o di intelligenza artificiale. Non me ne occupo e non ne parleremo nel corso, in maniera approfondita.
Elementi innovativi del corso
Si parla di progettazione, andando a capire cosa serve per costruire un chatbot.
Gli strumenti, oggi sempre più numerosi e sempre più facili da usare, vengono alla fine del processo di progettazione.
- Lo strumento, infatti, ci dice che bastano poche ore, persino pochi minuti per creare un chatbot.
- Il progetto, invece, fa capire la complessità che c’è dietro la creazione di sistema (o ecosistema) dove il chatbot sia efficace.
- Lo strumento ci porta a costruire qualcosa che funzioni per la macchina.
- Il progetto ci fa capire che stiamo lavorando per le persone.
Nel corso, che comprende numerose slide, non mi sono inventato nulla. Dal 2015, ho messo insieme e organizzato le migliori pratiche esistenti sul mercato, non solo dal mondo dei chatbot. Troverete tutte le fonti da cui ho tratto spunti e idee e poter dunque seguire le vostre strade di approfondimento.
Nelle ore che trascorreremo insieme, non solo esporrò le nuove prospettive, con gli studi e le ricerche più recenti, ma andremo a definire cosa sia il nostro chatbot e inizieremo ad avere le idee più chiare su cosa sia una conversazione.
Non ti vendo nessuno strumento
Ci tengo a precisare che alla fine del corso nessuno ti vende nulla, nessuno strumento, nessun pacchetto. Nel corso c’è già tutto quello che è necessario sapere per lavorare immediatamente al proprio chatbot.
Ciascun partecipante ritorna a casa con un metodo, una serie di passaggi da seguire, sia in generale, sia rispetto alla propria azienda. Alla fine di queste intense 7 ore si esce dall’aula (virtuale) con la consapevolezza dei propri bisogni, delle difficoltà di realizzazione e con prospettive di lavoro ben definite.
Un approccio internazionale ai chatbot
Ritengo che il tipo di approccio che propongo sia internazionale. Ho partecipato ai vari summit che si tengono in Europa e all’estero e ciò che salta agli occhi è la presenza massiccia di UX Designer, Architetti dell’informazione e UX Writer. Perché c’è la necessità di comprendere i bisogni delle persone che usano o vorrebbero usare i chatbot. Mentre gli sviluppatori sono una minoranza.
In Italia, ad oggi, dall’oblò della mia bolla, posso notare, invece, che chi si occupa di chatbot e interfacce vocali, in prevalenza sono sviluppatori, i quali sono occupati (giustamente e principalmente) nella creazione degli strumenti. Il loro problema, per forza di cose, è far funzionare la macchina, lo strumento.
Prima gli strumenti?
Questo concetto lo dico nel corso e lo anticipo anche qui.
Gli strumenti vengono alla fine del processo di progettazione.
Prima si deve percorrere la via della progettazione e soprattutto, per come la vedo io, la progettazione per le persone.
Se scegliamo o scegliessimo prima lo strumento, la progettazione sarebbe fortemente limitata, se non costretta a soccombere.
Lo dico con altre parole. Gli strumenti seguono logiche che sono predefinite, ripercorrono la progettazione del prodotto. Questa progettazione riguarda il funzionamento del chatbot, e non il funzionamento dell’azienda, che dall’oggi al domani, per esempio, si troverà a dover cambiare processi, senza aver preventivato questo cambiamento.
Non basta che funzioni
Come dico spesso, non basta che funzioni. Soprattutto se funzionando crea un nuovo problema. Perché se è vero che dobbiamo mettere la persona al centro, in genere il cliente, anche i dipendenti dell’azienda sono persone, anche loro devono stare al centro. Tanto più se dovranno cambiare il loro modo di lavorare. Non è detto, infatti, che l’azienda sia pronta ad avere un chatbot.
Solo in fase di progettazione possiamo scoprirlo.
Scoprirlo dopo, cioè quando abbiamo messo online il chatbot, potrebbe creare una grande frustrazione o disillusione, perché la promessa del chatbot (o persino dell’intelligenza artificiale), che risolve tutto, riduce i costi, taglia i tempi di risposta, potrebbe essere altamente tradita.
Un corso di progettazione
Dobbiamo essere consapevoli di quel che facciamo. E questa consapevolezza la possiamo avere grazie alla progettazione.
Dicevo che il corso di progettazione chatbot e interfacce conversazionale toccherà tutti i punti necessari per la realizzazione futura.
Questa è la sua forza, in questi due anni di edizioni del corso UXUniversity, non ho trovato motivo di modificare l’indice. Ho certamente migliorato i tempi di spiegazione, ho migliorato l’esposizione di ciascuna parte, ho calibrato meglio, per me e per i partecipanti, le forze. Ma la struttura è rimasta e rimane fissa nel tempo. Con l’aggiunta in questa edizione della parte sulle interfacce conversazionali, di cui però parlo in ciascuna sezione.
Questa peculiarità forse potrebbe apparire anche la sua debolezza. Cioè io non sono un tuttologo e su alcune parti nascono (e sono nate) delle vere professionalità. Per esempio, parlo di personas e di tone of voice. Non potrei non parlarne. Ma, sul tone of voice, sarebbe arrogante non pensare di consigliare i corsi e i libri di Luisa Carrada. Sulle personas utilizzo i canvas e le metodologie di Maria Cristina Lavazza. Non mi sostituisco a nessun professionista che chiamerei per creare un chatbot, semmai indico la via.
Lo strumento viene dopo
Lo strumento, lo strumento abilitatore, che permette di creare un chatbot o una interfaccia vocale, è sicuramente l’elemento che ha permesso a me di pensare questo corso e permetterà a voi di partecipare sapendo che esiste la tecnologia per fare un chatbot senza conoscere il codice o un linguaggio informatico.
Ma dopo il corso avrete la consapevolezza di cosa volete realizzare e poter chiedere agli strumenti e ai loro sviluppatori, cosa volete e se riusciranno a soddisfare le vostre esigenze per dare risposte ai bisogni dei vostri clienti.
Tutto il corso in 1 minuto
https://www.youtube.com/embed/PJNyGvOrJbE
Iscriviti al corso sul sito UXUniversity.
Progettazione Chatbot
La progettazione chatbot 2018 è al centro della discussione di progettisti che sono impegnati nella costruzione di Vocal User Interface. Il tema è talmente nuovo, che al momento possiamo solo parlare di sperimentazione, sebbene già di chatbot sulla rete ce ne siano a migliaia. Più o meno funzionanti; più o meno progettati.
Fatto sta che quello che possiamo dire oggi, potrebbe essere smentito già la prossima settimana.
Per cui se già avevamo dei dubbi sulle predizioni sull’user experience 2018. Figurarsi sul tema chatbot.
Se sei interessato a progettare un chatbot puoi seguire il mio corso
Progettare Chatabot per tutti e iscriverti presso la UXUniversity dove tengo il corso.
Cosa raccogliamo del 2017
Il 2017 ci lascia un bel po’ di materiale da osservare. Molte cose sono cambiate.
- si è spostata l’attenzione dal processo del linguaggio naturale alla comprensione del linguaggio naturale.
Le aziende hanno speso un bel po’ di soldi per far comprende alle macchine quali sono gli intenti degli utenti. E anche se i chatbot parlano una lingua sconosciuta, la cosa funziona ed è partito l’allarmismo.
- Le tendenze portano a credere che il miglior approccio del momento sia quello delle interfacce ibride.
- Preso atto che i chatbot falliscono senza architettura dell’informazione si cerca di limitare al minimo la frustrazione di chi utilizza lo strumento chatbot.
- I costi per la gestione di conversazioni massicce sono notevoli e vanno ridimensionati.
Progettazione chatbot 2018
In qualsiasi momento potrebbe essere immesso sul mercato uno strumento che modifichi le nostre attuali convinzioni sui chatbot. Non che i chatbot da soli possano superare il test di Turing. Almeno non a breve. Però un nuovo strumento potrebbe spostare la nostra attenzione da un punto di vista ad un altro.
Riflessioni sull’articolo di Toni Fontana.
Progressi nello sviluppo dell’IA
In questo galoppo al cambiamento il ruolo fondamentale ce lo ha l‘intelligenza artificiale. Più questa tecnologia si sviluppa, più diventa a basso costo. E più persone possono lavorare su questa tecnologia per renderlo di uso comune al maggior numero di persone.
Da questo 2018 in poi i miglioramenti saranno sicuramente significativi.
Esperienze vocali in continua evoluzione
Perché tanto ottimismo? Perché aziende come Amazon e Google stanno spingendo nella ricerca. Il loro obiettivo non è salvare il mondo, ma portare avanti e vendere Smart Speakers in tutto il mondo.
Amazon ha già venduto oltre 20 milioni di dispositivi Amazon Echo. Questo ha oltre 20.000 competenze disponibili su Alexa Store. Il mio articolo sui 50 comandi da dare ad un assistente vocale sono solo un assaggio.
Google, dal canto suo, vende Google Home che si interfaccia e comunica con tutti i dispositivi Android come smartphone, Androidwear, Smart TV, altoparlanti intelligenti, e tanto altro ancora.
I primi vincitori nelle interfacce di conversazione
Ma se l’assistenza vocale è solo appannaggio delle Big Company, il campo delle interfacce conversazionali si sta sviluppando.
In particolar modo il mondo del marketing sta spingendo per la realizzazione di queste interfacce.
L’attenzione delle persone è sempre più bassa, il rumore di sottofondo sempre più alto. Molte domande degli utenti sono basiche e ripetute. Per questo motivo le interfacce conversazionali possono essere la soluzione. Risposte semplici e ripetute all’infinito per lasciare spazio ad operatori umani specializzati.
Risultato è la costruzione di una esperienza iper personalizzata per il cliente.
I vincitori di questa battaglia? Le interfacce ibride.
Blockchain
Non sta a questo blog spiegare cosa sia la blockchain. Per cui rimando l’approfondimento ai siti specializzati. Difficile spiegarla con parole semplici.
Ci provo e forse sbaglio a spiegarla così. Gli esperti mi perdonino e in caso di errore aggiungano un commento chiarificatore per arricchire l’articolo.
Pensate al vostro computer come fosse una calcolatrice collegata ad altre migliaia di pc/calcolatrici. E che a queste calcolatrici si richiedano calcoli matematici molto complessi. Ecco, pensate che per ogni calcolo effettuato, per ogni blocco di calcolo svolto, vi venga riconosciuto un valore in denaro virtuale (come lo sono i vostri calcoli). Ogni rete di pc/calcolatrici (come fossero nazioni virtuali) ha una valuta differente.
Blockchain e Chatbot
Questa premessa è stata necessaria perché per coloro che stanno investendo nella creazioni di queste reti, la blockchain è il nuovo internet. E chi sviluppa chatbot ha iniziato a sperimentare con la nuova internet.
Cosa fanno queste aziende? Creano prima di tutto nuove reti dove il chatbot è il protagonista della piattaforma di messaggistica. Ma anche ci sono aziende che offrono un servizio umano di consigli che incentivano l’uso del bot. Questo è poi il gancio per continuare ad offrire consigli su argomenti che vanno dalle relazioni (più popolari) a dove trovare immagini e meme.
Insomma entrano nel mercato delle criptovalute per rafforzare la loro posizione.
Conclusioni
Questa è semplicemente una fotografia di quello che è accaduto nel solo mese di dicembre 2017. E sapere cosa accadrà nel mese di febbraio 2018 è pura fantasia.
Certo è che anche gli scettici oggi stanno provando a costruire il proprio chatbot per i propri progetti. Le opportunità sono reali, le startup sempre più numerose, l’interesse sempre più alto.
Difficile che sia una bolla. Nel senso che è difficile che prodotti come gli smart speaker scompaiano dal nostro quotidiano.
Forse per quanto riguarda lo sviluppo, l’assistenza vocale o i migliori chatbot saranno appannaggio delle Big Company. Forse la tecnologia dell’intelligenza artificiale resterà nel tempo sempre molto costosa e inarrivabile per la grande massa degli sviluppatori. Ma è certo che nei prossimi 5 anni avremo familiarità con assistenti vocali e chatbot.
Per questo motivo sviluppatori e progettisti si dovrebbero alleare nella progettazione di chatbot, per risolvere i problemi fin qui incontrati e portare alla grande massa le interfacce vocali.