Lettura e ascolto mi paiono essere due facce della stessa medaglia. Se da un lato c’è la scrittura e il parlato, dall’altro c’è la lettura e l’ascolto. Da un lato c’è la produzione di un testo e di un testo orale e dall’altro lato c’è la ricezione di un testo e di un testo parlato. Quando leggiamo in fondo non facciamo altro che ascoltare quello che qualcun altro vuole dirci.
Si usano due canali ricettivi diversi, ma il fine ultimo, quello della comprensione, è uguale.
Linguaggio, lettura e comprensione del testo
Sara Menini, Psico-Neurologa, in un capitolo in cui si occupa di “Linguaggio, lettura e comprensione del testo” scrive.
La relazione esistente tra linguaggio orale e linguaggio scritto è molto stretta, anche se esistono alcune differenze sia relative alle caratteristiche del materiale scritto nei confronti di quello orale sia ai processi attivati nei due casi. Senza entrare nel dettaglio vengono citate alcune delle differenze esistenti:
il linguaggio orale può avvalersi, per la sua comprensione, della prosodia che manca invece nel linguaggio scritto;
nel linguaggio parlato il contesto è comune a chi parla e chi ascolta e questo può facilitare la comprensione del messaggio;
la sintassi dello scritto è più complicata di quella del linguaggio parlato, perché contiene più frasi subordinate e correlate.
Una corsa continua di Luisa Carrada
Luisa Carrada (donna che non si ringrazia mai abbastanza per la sua generosità sul web e durante le sue lezioni) sul suo blog dedica molti post alla lettura, almeno quanto alla scrittura di cui è esperta. Ed in uno dei suo post parla di come le neuroscienze abbiano studiato il fenomeno della lettura.
La mente che legge lo fa con accelerazioni e decelerazioni continue, di cui non ci rendiamo conto. Gli occhi saltano da un gruppo di parole a un altro, si fermano, riprendono. Gli occhi vedono, ma è il cervello che legge, interpreta, connette, ricorda: prima riconosce le singole parole, poi le individua alla luce delle parole che precedono e seguono (così capisce se la pesca riguarda i pesci o è un frutto), poi le connette tra loro per dare senso al messaggio, infine le connette al vissuto, alle letture, alle conoscenze della persona.
La velocità di queste operazioni – e quindi la fluidità e l’agio della lettura – dipendono in gran parte dalle scelte dell’autore. Ma c’è una cosa che le sottende tutte: la mente che legge è come un indovino al lavoro, non fa altro che fare ipotesi su quello che viene dopo, verificarle, procedere oltre, fare un’altra ipotesi, verificarla, andare avanti. Più quello che segue conferma ipotesi e aspettative, più si corre veloci, fluidi, soddisfatti. Solo che di solito non ce ne accorgiamo. Ci accorgiamo benissimo, invece, quando la lettura è faticosa.
Un’arte divinatoria
“Mentre gli occhi scorrono sulla pagina, il cervello è tutto intento a fare previsioni sul contenuto del documento, così come sul contenuto del paragrafo, persino sulla fine della frase.”
Non leggiamo, insomma, prevediamo quello che gli altri ci vogliono dire. E prevediamo bene se chi scrive è capace di guidarci in un percorso di comprensione. Perché se prevediamo bene, capiamo meglio.
Tiriamo ad indovinare?
Sulla parola divinatoria a me è venuto in mente quel giochino delle lettere mischiate che leggiamo senza troppi problemi che circola periodicamente sui social. Si tratta di un ever green.
Sceodno una rcircea dlel’Uvitrisenà di Cmbairgde non ipromta l’odirne dlele lrteete in una proala, l’uicna csoa che cntoa è che la pimra e l’utlmia ltetrea saino al psoto gusito. Ttute le atlre lrteete dlela poalra psonoso esrsee itinvtere snzea carere prleobmi alla letutra.
Qstueo acdcae pcherè la mtene non lgege ongi lteetra senigolnarmte ma la proala cmoe un ientro qudini il clrveelo è cnouqmue in gdrao di assblemare le lterete e ietprntarere la ploara crottrea.
Senza fare neanche tante verifiche, non c’è nessuna ricerca della Cambridge University a riguardo e ce lo dice chi lavora presso la Cognition and Brain Sciences Unit della prestigiosa università, che si occupa di queste cose.
Anzi! Da Cambridge ci dicono che
Ci sono elementi di verità in questa frase, ma ci sono anche alcune cose che gli scienziati che studiano la psicologia del linguaggio (psicolinguisti) sanno essere scorrette.
Ossia che grazie alla predittività riusciamo a capire questo testo. Ma perché è davvero semplice da leggere e non contiene frasi complesse. Testi più complessi che adottassero questa pratica potrebbero portarci all’incomprensione del testo.
Abbiamo dunque sempre bisogno di una via da seguire. Eppure questo andare avanti della mente pare essere una abitudine del nostro cervello. Nella lettura verifichiamo cosa ci aspetta dopo. Nell’ascolto, mentre l’altro parla, pensiamo già a cosa rispondere, a cosa aggiungere. Interrompiamo l’altro, tanto più che l’Italiano lo permette. E non ascoltiamo veramente l’altro. In realtà ascoltiamo solo noi stessi.
Non ascoltiamo
Per esempio, quando veniamo presentati ad un gruppo di persone, spesso dimentichiamo i nomi di chi ci viene presentato, proprio perché non ascoltiamo. Siamo rivolti verso noi stessi. Pensiamo a dire bene il nostro nome; pensiamo a come gli altri ci stanno giudicando; pensiamo a come gli altri ci stanno stringendo la mano. E via di seguito… Ci sarà un post a riguardo.
Non ascoltare permette al cervello di funzionare perfettamente e per inerzia. Tante sono le sue attività che la sua tattica si rivolge a fare il minimo possibile, il minimo sforzo, a dimenticare il più possibile.
Luca Rosati ce lo ricorda
L’interazione delle persone con l’informazione tende all’inerzia. Non è una questione di pigrizia, ma la conseguenza di un principio di funzionamento del nostro cervello: il principio del minimo sforzo (least effort principle).
è il modo più semplice.
Ascoltare che fatica!
Per questo leggere, così come, ascoltare, intesa come azione attiva è una fatica.
La lettura, sebbene a prima vista possa sembrare un’attività automatica, è costituita da diverse sottocomponenti che la rendono un’abilità molto complessa. Secondo la ricerca psicologica, la comprensione della lettura si compone di due ordini di processi:
il primo è percettivo e riguarda la corretta identificazione e decodifica delle lettere che compongono le parole e le frasi;
il secondo, di livello più elevato, riguarda la costruzione di una rappresentazione mentale del significato del testo, a partire dalla decodifica svolta dal primo processo.
La nostra mente pensante, deve bloccare il flusso divinatorio, l’inerzia e seguire con cognizione di causa i processi che ci ricorda la Menini.
Ascoltare per progettare
La nostra mente dovrebbe cominciare ad ascoltare veramente quello che dice l’altro. Per ascoltare, veramente, l’altro, bisogna esercitarsi, essere educati a la pratica dell’ascolto, mettere da parte le proprie domande, i propri problemi, i propri bisogni (anche fisiologici, a volte), sospendere il giudizio. Porsi davanti all’altro o accanto all’altro significa aprirsi e instaurare un rapporto di fiducia. E’ quando ci si ascolto a vicenda che si dicono le più profonde verità. E’ quando sappiamo di essere ascoltati veramente che riveliamo il nostro io più profondo.
Progettare insieme richiede una apertura tale da mettere da parte pregiudizi e costumi. Non è da tutti. La progettazione è dialogo, è ascolto. Perché in fondo Il design è una conversazione.
Parola immagine e ascolto
da Toni Fontana | Set 5, 2016 |
Parola, immagine e ascolto. Storia di un cortocircuito la definisce Luca Rosati che la scorsa domenica ha dedicato a me e Luisa Carrada questa frase:
Parola, immagine e ascolto.
Storia di un cortocircuito che dedico a Luisa Carrada, Yvonne Toilette e Toni Fontana.
“Spesso la pittura ha mosso la mia penna. Se in un lontano pomeriggio del 1970 non fossi entrato al Prado e non fossi rimasto “prigioniero” davanti a Las Meninas di Velázquez, incapace di uscire dalla sala fino alla chiusura del museo, non avrei mai scritto Il gioco del rovescio.
…
Dall’immagine alla voce la via può essere breve … la rètina comunica col timpano e ‘parla’ all’orecchio di chi guarda; e per chi scrive la parola scritta è sonora: prima si sente nella testa.”
L’officina della Poesia
Se si parla di parola, immagine e ascolto non posso non pensare che questi tre concetti sono alla base della Poesia. E così mi è tornato in mente il libro “L’officina della Poesia” di Angelo Marchese. Un libro del 1985 e ripubblicato nel 1997.
Nell’introduzione si legge:
Non v’è dubbio che oggi, nella società pancomunicativa dei mass media, nel grande villaggio elettronico dove i segni sono usati e gettati come fazzoletti di carta, dove la più atroce notizia è fruita come semplice informazione se non addirittura come spettacolo (“la morte in diretta”), la letteratura autentica è più che mai un viatico di libertà per le nuove generazioni, un appello alla vita responsabile e alla maturazione intellettuale, un dono insostituibile della civiltà che non conosce barriere di spazio e di tempo: un’esperienza, detto altrimenti, di quei valori estetici che, forse meglio di altri, ci introducono nelle dimensioni profonde di una realtà qualitativamente diversa rispetto a quella, certamente limitata, in cui viviamo.
Certo, Marchese, nel 1997 non pensava a Facebook e ai suoi Live. La morte in diretta oggi non è più spettacolo ma diretta senza intermediazione, dove paradossalmente, a volte, l’autore del video è il morto stesso, trasformandosi addirittura in video virale.
Ad ogni modo… Mi colpisce, oggi, più di ieri, quando Marchese parla della Poesia come “Un’esperienza di quei valori estetici che ci introducono nelle dimensioni profonde di una realtà qualitativamente diversa rispetto a quella in cui viviamo.” Il Poeta, come l’Architetto dell’informazione, che progetta e costruisce un’esperienza.
Mi fa pensare alla possibilità e anche al dovere (perché no?) di progettare con responsabilità, per dare vita a siti di valore che esprimono valori.
L’istituto metrico
Angelo Marchese scrive:
Le matrici convenzionali metrico-prosodiche, modellizzando il significante (l’accento, intonazione, le manifestazioni fonologiche soprattutto) costituiscono il fattore costruttivo fondamentale del discorso poetico.
La poesia non è solo una sequenza di sillabe secondo un dato ritmo. La poesia è un crogiolo linguistico tra forma, parola e contenuto. E’ lo scontro/incontro tra significante e significato. La poesia è ordine e sregolatezza. Figure metriche precise ma anche figure metriche, come lasinalefe, dialefe, dieresi e sineresi, che modificano il computo delle sillabe.
Alcuni studiosi parlano, infatti, non di sillabe, ma di posizioni. Il verso sarebbe caratterizzato da una struttura metrica composta da un numero preciso di posizioni; da una pausa principale alla fine della sequenza o frase ritmica e da una o più pause interne, dette cesure; da una gerarchia di ictus primari e secondari, grazie ai quali si modula il ritmo poetico.
Il ritmo
Il tema del ritmo non è tema da poco. Jakobson cita alcuni spunti di Hopkins del 1866:
Quanto vi è di artificio nella poesia, e sarebbe giusto dire ogni forma di artificio, si riduce al principio del parallelismo. La struttura della poesia è caratterizzata da un parallelismo continuo nel ritmo (ricorrenza di una certa successione di sillabe), nel metro (ricorrenza di una certa successione ritmica), nell’allitterazione, nell’assonanza, nella rima. Ora, la forza di queste ricorrenze consiste nel suscitare un’altra ricorrenza o un parallelismo corrispondente nella parola o nel pensiero.
L’equivalenza del suono implica inevitabilmente l’equivalenza semantica: ed è questa, una conclusione importantissima perché il principio di equivalenza o il fattore costruttivo del ritmo si dilata oltre il significante a organizzare la totalità del segno poetico.
Parola, immagine e ascolto
Yvonne Bindi, che di parole se ne intende, prontamente ha commentato con le proprie correlazioni, scrivendo… Sinestesie, sinsemie e relazioni.
La sinestesia è una figura retorica che prevede l’accostamento di due parole appartenenti a due piani sensoriali diversi.
Ed è proprio nella poesia che se ne fa l’argo uso.
L’odorino amaro
(Giovanni Pascoli, Novembre)
A poco a poco mi ripigneva là dove ‘l sol tace.
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto I)
Venivano soffi di lampi
(Giovanni Pascoli, L’assiuolo)
E già Luca Rosati aveva parlato di sinsemie : scritture nello spazio.
La difficoltà a superare la dicotomia parola vs immagine è legata a un retaggio culturale che per molto tempo, e soprattutto in occidente, ha visto nella scrittura una tecnica per riprodurre il parlato, legata quindi al testo alfabetico sequenziale. La nascita della stampa ha poi ulteriormente irrigidito la contrapposizione.
La musicalità della poesia
Il ritmo, nel suo significato più ampio, è il fattore costruttivo della Poesia. Una poesia prende vita anche nella sua espressione orale. La voce, la lettura e il lettore, costruiscono nello spazio proprio dell’ascolto la descrizione di come il segno, tra accenti, pause e tracciati melodici, è distribuito sul foglio. Intorno a questa musicalità, o se preferite meglio, intorno a questi elementi musicali, si organizza tutta la complessa orchestrazione eufonica del significante.
Marcello Pagnini, docente dell’Università di Firenze, oggi scomparso, ha studiato a più riprese questo problema ed ha sostenuto che ad ogni piede, piede poetico, ad ogni gruppo di sillabe, corrisponde una battuta.
Esempi di ritmo poetico
Nell’Orlando furioso, nel primo verso, già c’è tutto. Il tema, il segno, il significante, il significato, il ritmo.
Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori…
Ma potremmo prendere anche i versi di Umberto Saba nel La capra:
Ho parlato a una capra.
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d’erba, bagnata
dalla pioggia, belava.
Ancor più forte, nel Canto Quinto della Divina commedia possiamo sentire le battute del celebre passo in cui si racconta di Paolo e Francesca.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
La musicalità della poesia nasce dalla “complessità della costruzione strutturale” del discorso in versi.
Interconnessione e interazione del segno con il ritmo, del significante con il suono, della struttura con la musicalità.
Solo in questo senso, Angelo Marchese, conclude con le parole di Pagnini
tout court il linguaggio della poesia si distingue dal linguaggio naturale perché “canta”.
Cosa canta? Parole, immagini e ascolto.