Architettura dell’Informazione o Architettura dell’Intelligenza? Jorge Arango, uno dei maggiori teorici dell’architettura dell’informazione e autore della quarta edizione del libro Information Architecture, ha annunciato un importante cambio di direzione nel suo lavoro di consulenza. Ed ha coniato il termine “Architecture for Intelligence”.
In un post, spiega come l’avvento dell’intelligenza artificiale rappresenti per lui – e potenzialmente per tutti noi – una trasformazione comparabile a quella avvenuta negli anni Novanta con la diffusione del web. L’intelligenza artificiale, dice Arango, non sta semplicemente introducendo nuove tecnologie, ma sta cambiando la nostra stessa modalità di percepire, organizzare e valorizzare l’informazione.
Architecture for Intelligence
La ragione di questo spostamento verso la “Architecture for Intelligence” è che l’intelligenza artiiciale, pur essendo potentissima, rischia di generare confusione e di replicare errori o bias, se non è sostenuta da strutture informative stabili, coerenti e ben progettate.
Arango sottolinea che un sistema di intelligenza artificiale “senza architettura” può sembrare una magia all’inizio, ma in futuro diventerà ingestibile, poco trasparente e, talvolta, eticamente discutibile. Per questa ragione, parlare di architettura dell’informazione in un contesto di intelligenza artificiale significa ormai occuparsi di come questi sistemi producano significato per e con le persone.
Architettura dell’intelligenza in tempi di digital genocide
Leggere queste riflessioni alla luce del tema del “digital genocide”, ovvero la censura o la scomparsa di interi dataset, rende ancora più evidente l’importanza di chi si occupa di organizzare e difendere i dati.
Se l’intelligenza artificiale opera (o opererà) su dataset manipolati o incompleti, i risultati rischiano di essere falsati su larga scala. Anzi, l’automazione potrebbe rendere ancora più radicate le distorsioni, perché la generazione di contenuti diventerebbe di fatto una catena di montaggio per informazioni compromesse.
Qui l’architettura dell’informazione – o “dell’intelligenza”, come suggerisce Arango – entra in gioco sia per garantire trasparenza e coerenza semantica, sia per rendere palesi i vuoti, le contraddizioni e i possibili rischi etici.
Ma a che livello dirigenziale ci troviamo?
A questo punto, sorge una domanda, per me, inevitabile: se l’architettura dell’informazione “sale di livello” e diventa architettura dell’intelligenza, che impatto ha per i professionisti che lavorano su siti web o piattaforme digitali, ma non progettano l’infrastruttura o i modelli di machine learning?
Si tratta di una trasformazione che riguarda solo chi ha un profilo da teorico e consulente di alto livello? Oppure coinvolge tutti, anche chi si occupa di soluzioni più concrete, come l’organizzazione di contenuti per un portale aziendale o la definizione dei wireframe di un e-commerce?
Possiamo davvero influenzare questi sistemi dal basso?
Mi auguro dunque che la risposta sta nell’idea stessa di “architettura”. Non tutti costruiscono grattacieli iconici; ci sono anche coloro che realizzano case unifamiliari o ristrutturano piccoli spazi, ma l’approccio e i principi della buona progettazione restano fondamentali a ogni scala.
Nel caso dell’informazione, i professionisti che lavorano su siti web, app, portali intranet o prodotti digitali più tradizionali possono comunque incorporare i principi dell’architettura dell’intelligenza.
Progettare un contenuto in modo da garantire coerenza e recuperabilità, curare i metadati, usare tassonomie solide e un linguaggio controllato restano abilità chiave, anche se non si toccano direttamente gli algoritmi di deep learning.
Consapevolezza sempre!
Ciò che cambia dunque è la consapevolezza. Sappiamo che ogni struttura informativa può diventare la base per sistemi di intelligenza artificiale, e che le nostre scelte influenzeranno la qualità di questi sistemi.
Se trascuriamo l’organizzazione dei contenuti perché “tanto non stiamo progettando un’AI”, potremmo in futuro ritrovarci con database difficili da processare, semantica incoerente e un insieme di dati facilmente manipolabile. Viceversa, se lavoriamo con metodologie solide, ci assicuriamo che, in prospettiva, i dati di cui siamo custodi siano pronti per alimentare soluzioni di intelligenza artificiale utili e, si spera, rispettose di chi le userà.
In altre parole, anche chi non decide la struttura degli algoritmi e dei modelli su cui si baseranno i sistemi di domani, svolge un ruolo fondamentale nel determinare la “qualità” di quei sistemi.
Definire come i dati sono etichettati, controllare la coerenza tra i termini, pensare ai percorsi di navigazione e alle tassonomie è già un contributo tangibile alla creazione di un ambiente informativo più affidabile. Quindi, sì, la “Architecture for Intelligence” è una sfida ambiziosa che Jorge Arango ha descritto in termini visionari, ma che dovrebbe toccare tutti noi – indipendentemente dal fatto che lavoriamo su progetti immensi o su iniziative più piccole.
Ma la cosa interessa?
Più la tecnologia si evolverà, più l’impatto dell’architettura dell’informazione si rivelerà cruciale. E chi, come me, si interroga sul “digital genocide” e sulla responsabilità di proteggere i dati, non può che accogliere con favore questa evoluzione.
Il nostro compito, a ogni livello professionale, dovrebbe essere dunque continuare a difendere i valori di trasparenza, inclusività e consapevolezza, anche progettando piccoli sistemi informativi che, domani, potranno diventare la base per intelligenze artificiali più grandi e potenti.
L’evoluzione dell’intelligenza artificiale non ci esclude e non ci deve escludere. Anzi ci richiama a una responsabilità maggiore. Progettare strutture capaci di “tenere insieme” la conoscenza in modo affidabile, etico e orientato al bene comune.
Il dibattito è aperto
I commenti al post di Jorge Arango ruotano principalmente attorno all’entusiasmo per questa svolta professionale. Vari colleghi sottolineano quanto la visione di Arango sia brillante e innovativa, augurandosi collaborazioni future e apprezzando l’espressione “Architecture for Intelligence”.
Altri si chiedono come l’architettura dell’informazione resterà rilevante in uno scenario in cui l’esperienza è sempre più personalizzata da agenti intelligenti e richiede modelli dinamici.
Certo è che in un contesto rivoluzionato, gli architetti dell’informazione rimangano centrali. E con la convinzione che la combinazione tra AI e IA rappresenti un terreno fecondo per sviluppi futuri.
E tu cosa ne pensi dell’architettura dell’intelligenza?