La lingua italiana non è solo un mezzo di comunicazione: è un campo di battaglia politico, un riflesso della società e delle sue trasformazioni. Ogni parola che scegliamo, ogni regola grammaticale che seguiamo (o ignoriamo), racconta qualcosa di noi, del nostro modo di pensare e del mondo che vogliamo costruire.

Parole come La Presidente o L’ingegnera non sono errori o forzature. Sono il risultato di un processo naturale della lingua, che evolve per rispecchiare la realtà. Se una donna occupa una posizione tradizionalmente descritta al maschile, è non solo possibile, ma doveroso declinare l’articolo e il termine al femminile. Non si tratta di “politicamente corretto,” ma di correttezza linguistica.

La grammatica non è un’opinione: è la struttura che ci permette di pensare con chiarezza e di comunicare con precisione. Conoscere la lingua significa conoscere se stessi, significa dare ordine al caos delle emozioni e delle idee, rendendole comprensibili e condivisibili.

Essere contrari alla chiarezza del linguaggio non è un atto di ribellione, ma un errore che danneggia tutti. Una lingua ricca e rispettosa delle sue regole non limita, ma libera. Ci permette di esprimerci con forza e senza fraintendimenti, di abbattere stereotipi e costruire un dialogo più equo e inclusivo.

La battaglia per una lingua giusta e consapevole non è una questione di femminismo o conservatorismo: è una questione di responsabilità collettiva. Ogni parola conta. Ogni articolo, ogni declinazione è un tassello nella costruzione di una società in cui ognuno possa sentirsi rappresentato, ascoltato e valorizzato.

Impariamo a rispettare e a usare la nostra lingua. Perché le parole sono potere. E saperle usare è un atto di libertà.