Negli ultimi anni si è parlato molto di comunità, specialmente nell’ambito del digitale e dei social media. Fino a poco tempo fa, si pensava che le comunità esistessero già nel mondo reale e che bastasse trovarle o replicarle online. Ma con il tempo, questo concetto è mutato. Si è passati dal cercare comunità nel mondo digitale, al crearle ex novo con nuove idee, al “fare comunità,” promuovendo l’idea di lavorare insieme per obiettivi comuni.
Tuttavia, mentre l’idea di comunità è diventata centrale in molti discorsi (vuoti?), la realtà delle nostre società ha preso una direzione differente, specialmente dopo il periodo della pandemia da Covid-19. Durante e dopo quel periodo, molte persone si sono isolate, sia fisicamente che mentalmente. Il distanziamento sociale ha segnato profondamente i rapporti umani, e le relazioni, che già stavano subendo una trasformazione nel mondo digitale, hanno preso una piega ancora più individualistica.
Se da un lato c’è stata l’illusione di un mondo che poteva migliorare, nei fatti il mondo è notevolmente peggiorato.
Rafforzare le comunità in tempi di crisi
Gli psicologi ci dicono che in momenti di crisi, come quello vissuto durante la pandemia da Covid-19, le comunità svolgono un ruolo fondamentale per affrontare le sfide quotidiane, che sono sfide senza precedenti.
Un position paper della Federazione Europea delle Associazioni di Psicologi (EFPA) sottolinea come il senso di appartenenza e il sostegno reciproco siano essenziali per aiutare i membri più vulnerabili della società.
Rafforzare i legami interni, dunque, promuovere la partecipazione attiva e favorire la collaborazione intersettoriale tra istituzioni e cittadini sono passi cruciali per costruire comunità resilienti e inclusive.
Le comunità, infatti, quando sono coinvolte attivamente, riescono a stimolare una partecipazione significativa e creativa.
La psicologia di comunità può offrire strumenti per mantenere e sviluppare un forte senso di solidarietà, a quanto pare, combattendo l’isolamento sociale e promuovendo il benessere collettivo e individuale. Strategie come la condivisione delle esperienze, la collaborazione tra settori e la creazione di spazi di incontro, anche virtuali, sono fondamentali per rafforzare il senso di comunità.
L’isolamento sociale ha cambiato il concetto di community
Oggi, a distanza di anni dal disastro, anche se sembra essere passato un secolo, personalmente, osservo individui che operano in modo sempre più isolato. Individui che prendono decisioni personali e indipendenti senza cercare il confronto o il consenso con gli altri. Ciò che in passato era una prassi consolidata – discutere, confrontarsi, seguire la tradizione, e rispettare chi era venuto prima – sta svanendo.
Sempre più spesso, le decisioni vengono prese senza considerare il parere di chi ha più esperienza, senza rispetto per le tradizioni o le dinamiche preesistenti. Appunto, senza riferimenti alla comunità. Si tratta, a mio modesto parere, del trionfo dell’individualismo, dove il concetto di comunità viene distorto o svuotato di significato.
Per quello che posso vedere io, dal mio angolo oscuro della provincia, questo fenomeno si manifesta in diversi ambiti, dalle piccole comunità locali alle realtà associative. Persino le chiese, le comunità religiose, vedono una mancanza di partecipazione alla vita comunitaria. Forse ancora qualche sprazzo si vede attorno agli ordini religiosi, ma il loro numero diminuisce. E lo stesso vale per le confratenernite, un tempo luogo e spazio di fraternità e mutuo soccorso.
Comunità come prodotto
Eppure, nonostante questa frattura sociale, continuiamo a sentir parlare di comunità. La “community” è diventata un prodotto da vendere, uno strumento di marketing. Piattaforme social, influencer e aziende si appropriano del termine per attirare persone con la promessa di far parte di qualcosa di più grande. C’è chi promette ricchezza, chi amore o sesso, chi serenità, chi l’opportunità di una crescita personale.
Ed in effetti, nel momento di grande assenza di comunità, cresce il bisogno. E nella crescita di questo bisogno non possono mancare coloro che, senza etica, promettono anche l’illusorio.
Ma dietro queste promesse c’è una cruda verità: molte di queste “comunità” digitali non esistono realmente. Nel migliore dei casi si tratta di gruppi di persone del tutto eterogenee, che sperano di aver trovato la loro comunità. Nel peggiore dei casi si tratta spesso di illusioni, vendute a un pubblico affamato di appartenenza, ma sempre più distante dalla realtà di ciò che una comunità autentica dovrebbe essere.
Io vivo in un mondo che ha perso molte delle sue certezze e strutture sociali. Gli spazi di aggregazione tradizionali, come piazze, parrocchie e circoli, sono stati sostituiti da chat online e “gruppi” social, che però spesso mancano della profondità e del valore che una vera comunità offre.
Si parla di comunità, ma le persone sono più sole che mai. Parliamo di cooperazione, ma ognuno è più concentrato sui propri interessi individuali. Si parla di condivisione, ma alla fine si cerca solo un rifugio dal senso di vuoto.
Chiamata alla consapevolezza
Questa mia riflessione non vuole essere pessimista, non voglio invitare a lasciarsi andare. Anzi. Ma piuttosto vorrei fosse considerata una chiamata alla consapevolezza. Se davvero vogliamo parlare di comunità, dobbiamo tornare a comprendere cosa essa significhi davvero.
Non dovrebbe essere solo una parola di moda o una strategia per vendere un prodotto, ma un impegno reciproco, una rete di relazioni basate su valori comuni, sulla fiducia, rispetto, e condivisione di responsabilità. Dobbiamo ritrovare il senso di appartenenza non solo alle “community” online, ma anche a quelle reali, fatte di persone con cui confrontarsi, crescere, e con le quali costruire qualcosa di duraturo. Solo così potremo superare l’illusione dell’individualismo e riscoprire il vero potenziale delle comunità umane.
Una nuova idea di comunità?
Per scrivere questo articolo, poi, ho letto un po’ in giro. Ed ho trovato un articolo in cui si esplora l’evoluzione del concetto di comunità, definendola come una forma arcaica di aggregazione sociale che precede la società moderna. Le comunità tradizionali – si dice – erano basate su identità culturali, religiose e territoriali, caratterizzate da una coesione e da legami di dipendenza reciproca. Tuttavia, con l’avvento della modernità, la comunità è stata percepita come un concetto superato e sacrificato in favore della società civile, vista come un’entità più complessa e totalizzante.
Ferdinand Tönnies e Nietzsche hanno analizzato l’opposizione tra comunità e società, criticando il mondo moderno per aver distrutto i valori naturali delle relazioni umane in favore dell’ipocrisia sociale imposta dalla civiltà industriale. Nonostante questo, il desiderio di tornare alla comunità rimane forte, anche se rifugiarsi in essa appare sempre meno possibile, poiché la società moderna richiede autonomia e adattamento alle nuove condizioni.
Victor Turner ha successivamente rivalutato il concetto di comunità con la distinzione tra communitas e societas, ritenendo che la comunità offra solidarietà e senso di appartenenza, anche in un mondo dominato dalla società. Nella modernità, però, le comunità tendono a perdere la loro fisicità territoriale, spostandosi verso un legame più debole ma ancora rilevante nelle dinamiche sociali contemporanee.
Le comunità virtuali, sviluppatesi grazie alle nuove tecnologie e ai social media, rappresentano una forma di aggregazione che ripropone l’antica dicotomia tra comunità e società. Queste nuove comunità sono spesso più fragili e temporanee, ma consentono una libertà d’azione mai vista prima. Nonostante il loro carattere transitorio, continuano a fornire rassicurazione e a soddisfare il bisogno umano di appartenenza.
L’AI generativa distrugge le comunità?
L’articolo sul declino delle comunità online a causa dell’introduzione dell’intelligenza artificiale generativa evidenzia come l’uso di modelli di linguaggio (LLM) stia avendo un impatto negativo sulle comunità di conoscenza online. Aumenta l’isolamento degli utenti e riduce la partecipazione attiva, portando a una diminuzione della qualità delle interazioni e dei contenuti.
Questo fenomeno crea un ciclo vizioso: meno utenti contribuiscono, peggiora la qualità dei contenuti, e quindi si riduce ulteriormente la partecipazione. Sebbene l’IA possa fornire informazioni utili, non è in grado di sostituire le connessioni umane che spesso caratterizzano queste comunità, riducendo così il senso di appartenenza e di solidarietà tra i membri.
Questa dinamica si inserisce perfettamente nel discorso più ampio sull’evoluzione delle comunità, già discusso precedentemente. L’idea tradizionale di comunità, come legame coesivo e luogo di appartenenza, sembra sempre più distante, sia nella società moderna che online. Le comunità digitali nate con i social network avevano già ridotto i legami forti in favore di connessioni più fragili, e l’IA generativa ha accelerato questa disgregazione, favorendo una produzione di contenuti meccanica, senza il coinvolgimento umano necessario a costruire relazioni autentiche.
Sempre più connessi, sempre più soli
Inoltre, il desiderio di tornare a forme di comunità più genuine, che si riscontra anche nella nostalgia verso le comunità del passato, non trova una vera risposta nel mondo contemporaneo. Se prima la comunità era un’entità territoriale e culturale, ora è diventata virtuale, ma priva della profondità e del calore che una vera interazione umana può offrire. La crescente dipendenza dall’IA nelle piattaforme online contribuisce a frammentare ulteriormente queste relazioni, lasciando gli individui ancora più soli e privi di un reale senso di appartenenza(
In sintesi, l’evoluzione delle comunità – da fisiche a virtuali, e ora sempre più mediate dall’intelligenza artificiale – riflette un cambiamento culturale che si allontana sempre di più dal modello originario di connessione e solidarietà tra persone.
Come già osservato in passato su questo blog, siamo sempre più connessi, sempre più soli.
Lontano dalla mia comunità
Prendo anche in considerazione il mio rapporto con le mie comunità di riferimento. Nonostante la forte percezione di un legame comune, la sensazione è che queste, nella ricerca della loro coerente e legittima ristrutturazione, si allontanino da me.
Io ho la sensazione che al di fuori dei grandi eventi, dei singoli eventi, le persone rimangano in realtà isolate, prive di un vero sostegno reciproco. Io, nei momenti di maggiore difficoltà personale, non ho trovato il supporto di cui avevo bisogno e che speravo di trovare.
A mio avviso, invece, una comunità — o un’associazione — dovrebbe impegnarsi a unire le persone costantemente, a creare occasioni di scambio durante tutto l’anno, coinvolgendo anche chi non può essere presente di persona al grande evento annuale.
Io ovviamente non ho le forze o l’autorevolezza per fondare una nuova realtà; vorrei fare qualcosa di più, ad esempio attraverso il mio blog. Ma è chiaro che si tratta solo di un sogno. Perché, certo è che sento il bisogno di riscoprire il vero senso della parola “comunità”: non un’entità astratta o un’etichetta da sfoggiare una volta l’anno, ma un tessuto di relazioni vive, capaci di offrire ascolto, confronto e collaborazione quotidiani.