Abbiamo bisogno di bot? Si tratta di una domanda che in pochi si fanno. Vi sembrerà un paradosso, ma è così. Anche chi ha inserito nella propria strategia un chatbot, non sempre si è chiesto se ne aveva davvero bisogno.
Spesso, se il bot dell’azienda non risponde adeguatamente, è proprio perché l’azienda e la sua dirigenza ha pensato alla realizzazione di un chatbot e non alla progettazione.
In altre parole, non si è ragionato sul bisogno delle persone (se chiedono o meno questo touchpoint) e non si è pensato all’organizzazione necessaria affinché il bot sia efficace.
Abbiamo bisogno di bot
Spesso, l’azienda non è pronta per creare un chatbot. Ossia non ha l’organizzazione adeguata alla sua gestione sul fronte dei dati e/o sul fronte delle risorse umane.
Vi è mai capitato di scrivere ad un servizio clienti e non ricevere risposte umane ed empatiche? Vi è mai capitato di scrivere una lamentela sui social e poi essere rimbalzati al sito, che magari funziona pure male?
Insomma, in molte aziende ci sono dipartimenti che non si parlano e che dunque non sanno dare risposte. Con un chatbot, almeno si dovrebbero parlare i dati.
ed è per questo che penso che abbiamo un urgente bisogno di bot che interagiscano con le persone reali.
La maggior parte delle persone fa sempre le stesse domande e molte domande possono essere ridotte a semplici routine.
Inoltre, se non direttamente, se non ci si vuole affidare completamente ai chatbot, il bot può aiutare gli operatori a fornire risposte migliori in minor tempo, per esempio, acquisendo una serie di notizie preliminari, durante il periodo di attesa dell’operatore.
Limiti ed opportunità dei bot
I detrattori dei bot sottolineano sempre gli errori e le mancanze oggettive delle macchine.
A volte, soprattutto su certi bot progettati male, hanno ragione.
Questi detrattori però non guardano né l’azienda, né tanto meno la sua organizzazione.
Ma se da un lato le macchine non sono pronte a parlare con noi, dall’altro lato, noi essere umani siamo prontissimi.
E non solo perché siamo stati coinvolti nell’immaginario cinematografico.
Parliamo già con le macchine
Ne avevo già parlato in un precedente articolo su chi si occupa di intelligenza artificiale.
Ma a chi non è mai capitato di rivolgersi, alla propria auto o al proprio PC o allo smartphone dicendo:
“Dai. Accenditi!”
“Su, da bravo! Non romperti proprio adesso!”
“Adesso fai il bravo”
“Dai, forza che ce la fai!”
“Ok, adesso riposa.”
Ecco. Se chatbot e interfacce conversazionali si stanno sviluppando, non è tanto perché l’intelligenza artificiale sia pronta a rispondere a tutto, ma perché siamo noi pronti ad antropomorfizzare i nostri dispositivi e siamo disposti a parlare con una macchina.
Progettare per le persone
Il mio corso progettare chatbot e interfacce vocali, nasce dal bisogno di progettare per le persone e per mettere le persone al centro.
Forse, per quel che mi riguarda, ho comunicato male il concetto e chi mi ha ascoltato ha frainteso quello che volevo dire.
Mettere la persona al centro, per me, non significa mettere l’ego di ciascuna persone al centro. Anzi, significa condividere le esperienze per far vivere meglio tutti, ossia la collettività.
Progettare esperienze di valore per le persone significa individuare i bisogni di ciascuno per dare risposte collettive, non singole.
Le persone non sanno quel che vogliono
A chi fa ricerca è noto che le persone non sanno quel che vogliono. O meglio, l’esplicitazione dei loro bisogni non è ovvia e non sempre guarda al futuro.
Spetta ai designer e ai progettisti interpretare quello che dicono le persone e capire il loro bisogno reale.
Così come per noi architetti dell’informazione spetterebbe migliorare l’architettura dell’informazione conversazionale di chatbot e assistenti vocali.
Chi può rispondere?
Se le aziende si stanno rivolgendo a questa tecnologia (bot e chatbot) è perché le richieste dei clienti sono sempre più pressanti.
Un call center ha un orario di apertura e chiusura, ha un costo proporzionale al numero di richieste che si possono ricevere.
Un chabot è disponibile 24 ore su 24, ha un costo fisso a prescindere dal numero di chiamate ricevute (a seconda della tecnologia di cui si dispone, alcuni strumenti, invece, hanno un costo a seconda del numero di conversazioni) e non fa richieste sindacali.
E sebbene un chatbot potrebbe non capire tutto, anche i call center con esseri umani, hanno una percentuale di insoddisfazione a cui le aziende devono fare fronte.
Senza contare che molti “sportelli” del consumatore rispondono come fossero dei robot.
Abbiamo bisogno di umanità
Dunque o i call center diventano più umani, rispondono meglio e lascino i clienti sempre più soddisfatti o i chatbot avranno la meglio, come sta accadendo (anche se non in Italia).
Perché alla fine, se mi interesso ai chatbot e più vado avanti nella mia ricerca, più mi rendo conto che siamo tutti alla ricerca di umanità.
Perché si, abbiamo sempre più bisogno di umanità.
La società è cambiata, siamo insieme ma sempre più soli, cresce l’indifferenza verso l’altro, la mancanza di simpatia e di empatia. Non si trova più risposta negli altri esseri umani.
Progettare chatbot per le persone è, per me, riscoprire la loro umanità.